Dal diario di viaggio di un ornitologo e naturalista . . . in Ceylon, ora Sri Lanka (ශ්රී ලංකා in singalese / இலங்கை in tamil)

Dal diario di viaggio di un ornitologo e naturalista . . . in Ceylon, ora Sri Lanka (ශ්රී ලංකා in singalese / இலங்கை in tamil)

Il 28 marzo 2017 mi imbarcai a Milano su di un Boeing 777 della compagnia di bandiera degli Emirati e dopo una sosta tecnica a Dubai giunsi, il 29 successivo, a Colombo, dove mi

Il giovane Ruwan a destra con il papà a sinistra, preziosi accompagnatori.

incontrai con Ruwan e suo padre, i quali mi prelevarono con la vettura per poi, dopo una accurata organizzazione ed un riposo per il fuso orario, avremmo concordato il tragitto verso il nord dell’isola, dalla sede stanziale di Nigombo.

Il tempo aveva dato un buon respiro, dato che lì era l’inizio dell’inverno, con temperatura dai 25° in su, ma sempre ventilato. Le piccole ed intense piogge – trovandoci sulla linea dell’equatore – davano nuova freschezza e tinte più vivaci alla vegetazione. Il sole, sin dal suo sorgere, insieme alle più fulgide vegetazioni, emanava un calore potente nello spazio azzurro, a poco a poco contrastato da immensi nuvoloni che si vedevano al di sopra delle folte boscaglie. L’aria calda, ma ventilata era satura di vapori di un insolito e soave profumo di fiori. Farfalle variamente colorite e di impareggiabile bellezza volavano intorno, scoiattoli delle palme si rincorrevano su per gli alberi, per nulla intimoriti dalla mia presenza, e corvi (Corvus splendens) emettevano continui richiami senza sosta, lontano nella boscaglia, con il richiamo del bul bul (Picononotus lutelus) ad intervalli con altri che facevano da eco.

 

Presbite dalla barba bianca (Presbytes cephalopterus)

Date le ridotte dimensioni, lo Sri Lanka possiede una varietà incredibile di animali: 92 mammiferi; 242 farfalle; 435 uccelli; 98 serpenti; schiamazzanti e non sempre visibili i gruppi di primati arboricoli tra cui il Langur comune, il Presbite dalla barba bianca (Presbytes cephalopterus) ed il Macaco di Ceylon. Con più frequenza ed in ore diverse sono visibili l’elefante asiatico di Ceylon (Elephas maximus maximus), che è il più grande del genere degli elefanti asiatici, ghiotto dell’albero di Kitulpam (Caryota urens), e il cinghiale dalle lunghe zanne (Sus scrofa affinis). Il clima tropicale, il lungo isolamento dall’Asia continentale e la diversità dei vari habitat hanno dotato l’sola della ricchissima avifauna di oltre 400 specie di uccelli, 26 delle quali sono esclusive dello Sri Lanka, mentre le altre 198 sono migratori, alcuni verso l’India del Sud, altri verso la tundra artica, come per esempio i piovanelli e i pivieri. I migliori periodi per osservare gli animali sono da gennaio a marzo, anche se durante tutto l’anno è possibile effettuare escursioni anche in coincidenza del monsone (maggio – ottobre).

Langur dalla faccia viola (Trachypithecus vetulus)

Detto questo, il percorso che stabilimmo prevedeva uno spostamento in vettura verso il nord-ovest, alla volta del Bundala National Park, poi ancora il Wilpattu National Park ed infine il Yala National Park nell’estremo sud-est; si consideri che l’isola è comunque tutta un grande parco (14 parchi in toto) ove gli animali vivono, anzi convivono con gli uomini i quali portano loro un grande rispetto! Con un totale di 1000 Km. toccammo molte città come Kegalla, Ella, Sigirya, Kandy, Nuwara Eliya, Yala, Matara; rientro alla base di Negombo dopo 12 giorni.

Cinghiale dalle lunghe zanne (Sus scrofa affinis)

Durante la giornata di riposo che mi ero preso, mi recai a piedi sulla provinciale di Negombo, dove lungo i bordi della strada ad intervalli vi erano venditori di frutti del luogo. In un posto all’ombra, non appena mi fermai, incontrai un ragazzo che prese un frutto di cocco intero ed ancora verde e che con alcuni colpi ben assestati di un pesante coltello praticò un foro nella parte più appuntita e  mi invitò a bere il contenuto della noce. Accaldato ed assetato come ero, trovai la bibita gustosa: per il colore sembrava acqua di riso, eccellente, dolciastra e fresca. Esaurito il liquido, il giovane, ripreso il frutto, con un colpo da maestro, lo spaccò in due metà eguali, poi con un altro colpo obliquo staccò dalla spessa buccia di una delle metà una zeppa, che veniva in tal modo ad avere naturalmente la forma di una paletta con un margine tagliente; porgendomi tutte e due le metà, rassomiglianti a due scodelle, mi mostrò il modo per staccare, con questo cucchiaio improvvisato, la polpa molle dell’interno del guscio, già mezzo ossificato. Questa polpa (l’albume del seme), quando il frutto è immaturo, è molle, gelatinosa, bianca e quasi opalina, ma con l’invecchiamento diventa oleosa, e serve appunto a estrarre il cosiddetto olio di cocco.

Dopo questa passeggiata rientrai alla base, poiché l’indomani ci saremmo portati verso Kegalla, al Wilpattu National Park, un’area molto estesa di foresta pluviale, con macchie di terreni aperti, piscine naturali, fiumi e fitta vegetazione, il tutto a 50 Km ovest di Anuradhapura…

Bucero (Anthracoceros coronatus)

In seguito alla visita ai vari parchi, posso dire che, data la varietà geografica-ambientale, la fauna presente offre al visitatore una moltitudine di animali in piena libertà. Appollaiato su di un albero nella radura c’era un bellissimo Bucero (Anthracoceros coronatus), il quale è noto per deporre tra aprile e giugno negli alberi, dove la femmina, chiusa nel nido con fango, viene alimentata sino alla schiusa dal maschio attraverso una piccola feritoia. Entrambi i sessi sono simili nella colorazione.

La mia attenzione era sempre al massimo per cogliere momenti che mi mettessero in condizione di effettuare un buono scatto e già si procedeva su di un fuoristrada con sedili sistemati a sbalzo sul cassone e prontamente dovevo comunicare con l’autista perché si fermasse!

A sinistra Elefante dello Sri Lanka, a destra i Bufali selvatici

Lungo il percorso, elefanti nella bassa boscaglia e bufali selvatici (Bubalus arnee), immersi nelle acque calme dei laghetti sino al collo, erano quasi sempre a vista, ma in distanza di sicurezza. Purtroppo mi è mancata la possibilità di fotografare l’unico felino presente e tipico … il Leopardo (Panthera pardus kotya). Il termine “kotya” è usato in singalese per indicare la tigre. Il leopardo dello Sri Lanka (Panthera pardus kotiya) , noto colloquialmente come kotiya, è una sottospecie di leopardo originaria dello Sri Lanka. Comunque, «kotiya» è il termine singalese usato attualmente per indicare la tigre, mentre leopardo si dice «divya».

In compenso mi imbattei in una serie di stupende cicogne (Ciconia episcopus), le quali, per nulla intimorite, pascolavano sulla strada rossa che attraversava il Parco, e poi ancora una stupenda Mycteria leucocephala, detto il Tantalo dal becco giallo.

A sinistra, cicogne (Ciconia episcopus). A destra, Tantalo dal becco giallo (Mycteria leucocephala)

Anche i rapaci non si nascondono e sono abbastanza presenti, ma è utile disporre di un buon obiettivo, pertanto, a terra, mimetizzato dai colori della terra, fermai sull’obiettivo prima un Falco pecchiaiolo orientale Pernys ptylorinchus intento a cacciare serpenti, poi, poco dopo, un incredibile serpentario crestato Spilornis cheela.

A sinistra Falco pecchiaiolo orientale (Pernys ptylorinchus), a destra Serpentario crestato (Spilornis cheela)

Purtroppo molti altri rapaci, comunque presenti nel Parco, sono sfuggiti al mio obiettivo solo per la lontananza o il volo veloce!

Nel folto della foresta pluviale interessante è stata la possibilità di immortalare una intera famiglia di cervi pomellati, abbastanza comune che abita molte aree boschive (Thith Muwa in singalese). Molto caro ai bambini di tutto il mondo, ma anche ahimè, preda frequentemente mirata dal leopardo!

A sinistra famiglia di Cervus axis, Cervo pomellato, a destra Cervus unicolor

Poco dopo, iniziò una improvvisa pioggia assai fitta, tanto che fummo costretti a fermarci in una radura in attesa che si rendesse meno incessante. Contemporaneamente ogni forma animale si rese invisibile, ma ad un tratto, inaspettatamente, apparve, disorientato, un sambar, Rusa unicolor, appartenente alla famiglia dei cervi, animale piuttosto schivo e di non facile individuazione, data la colorazione bruna che si mimetizza con la boscaglia.

Pochi minuti e la pioggia svanì come d’incanto, ricomparve il sole e un’odore di terra bagnata pervase l’aria… La voglia di proseguire è forte, ormai da due ore percorrevamo in fuoristrada le strade alquanto sconnesse, anche gli animali si mostravano con piacere al nostro occhio, e comunque l’intensa pioggia non era riuscita a formare acquitrini, poiché riassorbita dal terreno.

Il Gallo selvatico, simbolo nazionale dello Sri Lanka (Gallus lafayetti)

Tra le sorprese di queste immenso parco si presenta con molta serenità un uccello galliforme selvatico della giungla Gallus lafayetti, tipico esempio autoctono di queste terre e simbolo Nazionale. Un maschio veramente imponente ed elegante nei suoi colori, cosa che invece non è la femmina dalla colorazione marrone con chiari e scuri variabili, senza particolari colori, proprio per meglio mimetizzarsi durante la cova nel nido posto in una depressione del terreno, al riparo di un cespuglio.

Al rientro, stanchi, ma contenti di avere trascorso una mattinata in mezzo alla natura, in una radura allagata scorgiamo nell’acqua, con la testa fuori, dei bufali selvatici, molto comuni ed anche abbastanza utilizzati per il loro latte. Dal bufalo d’acqua addomesticato i locali ricavano uno yogurt, molto più nutriente del nostrano di latte vaccino, chiamato in singalese (මීකිරි) meekiri, che viene venduto in vasi di argilla lungo le vie di comunicazione.

Sempre presenti e di facile individuazione sui bassi rami i gruccioni (Merops leschenaulti), lunghi 21 cm. circa, dal volo veloce al pari delle nostre rondini, simili per colorazione al nostro migrante africano, ma con abitudini molto diverse: non volano alto e non nidificano sulle pareti di sabbia, ma volano sempre all’altezza degli occhi e usano fare buchi in terra.  Sono stanziali.

Nella foresta tropicale, il Gruccione staziona sulle basse ramificazioni

Terminata la giornata, sostiamo al punto di ristoro del Parco per consumare un pasto veloce e poi proseguiamo alla volta di Kandy, su quella strada che, prima della costruzione della ferrovia, era la più trafficata ed importante di tutta l’isola per il trasferimento delle spezie. Delle bellezze della strada ne perdiamo però la maggior parte perché la notte incalza, tanto che ad un tratto il fogliame delle piante, vagamente colorato di raggi porporini di un bel tramonto, assume una tinta tetra, a causa della brevità del crepuscolo. Con la stessa rapidità dell’imbrunire si fa giorno nelle vicinanze di Kandy, una città piena di vita e di animazione, ancora più luminosa quando dal centro iniziamo a salire per la collina sovrastante verso l’albergo.

Al mattino seguente una sorpresa durante la sosta-pausa: alloggiavo al terzo ed ultimo piano di un albergo sulle colline, una specie di Beverly Hills cingalese, immerso nel verde della foresta tropicale e sul terrazzo in posizione visiva allargata, mentre stavo un po’ ripensando a quanto vissuto nei parchi Nazionali, improvvisamente notavo che nella sottostante piscina era caduto un fulmine azzurro che la coda del mio occhio non aveva ben individuato. Sorprendentemente sul passamano in ferro vidi uno stupendo martin pescatore (Halcyon smyrnensis fusca). Da lì ad un secondo mi precipitai in camera per munirmi della fedele macchina fotografica!

Halcyon smyrnensis fusca – Martin pescatore asiatico

Fortunatamente quando arrivai non era ancora volato via! Pertanto mi misi a cliccare, ma con stupore notai che non era lì per pescare chissà quale prelibato boccone di pesce, bensì per fare un bagno ristoratore e pulirsi le penne!

In una decina minuti della mia osservazione potei fermarlo nel volo, mentre più di una volta si tuffava in acqua per poi rimettersi nella posizione sul “trampolino” e adempiere alla sistemazione delle penne! Fantastico, credo di non avere mai avuto un’occasione tanto fortunata!

Nella seconda parte della mattinata ci rechiamo al giardino botanico di Paradenia, che dista dalla città 4 km. L’ingresso principale è chiuso da una elegante ed imponente cancello in ferro battuto, al di là del quale attrae subito l’attenzione un maestoso gruppo di palme, rimarchevoli per bellezza e rarità delle specie, tra cui primeggiava per dimensioni il “talipot”, come lo chiamano gli Indiani, talla gass i Singalesi, cioè la Coypha umbraculifera, palmizio indigeno dell’isola. La Palma talipot (Corypha umbraculifera) è una pianta della famiglia delle Arecaceae, famosa per la produzione della più grande inflorescenza ramificata del mondo,diffusa in India e nello Sry Lanka. A parte la varia ed enorme collezione di piante e di orchidee, lungo uno dei viali mi accorsi che, al di sotto di un enorme albero, ciò che pendeva non frutti, bensì un sorprendente numero di Volpi volanti, Pteropus giganteus.

I Pipistrelli della frutta o Volpi volanti al Royal Botanic Garden a Peradenya

Trascorsi l’intero pomeriggio a fotografare e curiosare tra i viali e le innumerevoli varietà di piante e fiori, e forse non sarebbe bastata l’intera settimana, ma al volgere del tramonto abbandonai e rientrai in albergo.

Coracias benghalensis, detta anche Rullo indiano o Ghiandaia

Il giorno successivo, a bordo del solito van, ci dirigiamo attraverso i campi di thè tra le alture che da 1800 m. s.l.m. circa conducono verso la costa orientale, toccando la città di Nuwara Eliya. Poi verso Badulla e da lì iniziamo a scendere verso la costa per un nuovo safari a Yala (Ruhunu National Park), una grande riserva con laghi, fiumi, acque salmastre, affioramenti rocciosi, litorali e foresta a sud-est.

Uccello pigliamosche (Willpattu Park)

Abbiamo la possibilità di incontrare innumerevoli uccelli, aquile e ungulati tipici della fauna locale; ancor prima di giungere alla meta ci fermiamo presso Samaharama, dove, in un lago salmastro, individuiamo in lontananza dei pellicani Pelacanus philippinensis. Probabilmente il tranquillo specchio d’acqua doveva contenere pesce in abbondanza per soddisfare esigenze alimentari!

Al pomeriggio ci prendiamo una sosta in un resort all’interno del Parco, in piena foresta, ma corredato di ogni comodità, soprattutto di aria condizionata. Al mattino non ancora albeggiava che eravamo già sul fuoristrada che ci avrebbe condotto per le strade interne alla ricerca della fauna selvatica…!

Entusiasmanti ed improvvisi incontri hanno dato la possibilità di fermare sull’obiettivo uccelli e ungulati veramente da mozzafiato. Ore quattro e trenta del mattino, colazione al sacco, entriamo al parco lungo la strada che serpeggia in radure, piccoli stagni e innumerevoli spazi d’acqua. Come sempre sono presenti e immersi nell’acqua o nel pantano i bufali al pascolo e fanno loro da cornice in lontananza piccole aree forestate, ma più ci addentriamo e fa luce meglio riusciamo ad individuare, come incantati, aironi, anatre dentrocigne Dentrocigna javanica, che in volo radente mi sfilano di lato …. al volo! … presa! e trampolieri e ogni varietà di limicoli Vanellus indica. Dulcis in fundo, ormai stanchi per la continua attenzione e per la levata mattutina, individuo tra il basso fogliame uno stupendo, inaspettato e meraviglioso uccello del paradiso pigliamosche, un solo scatto e centro! Terpsiphone paradisi, maschio morfo marrone e bianco.

Sopra una coppia di Threskiornis melanocephala, Ibis testa nera, nei laghetti di Puttalam, sotto Dentrocigna javanica in volo, Dentrocigna minore al Wilpattu Park

La giornata è ormai terminata e ci avviamo sulla via del ritorno, verso Tangalla e poi Matara, dove ci aspetta un delizioso alberghetto a due piani in legno ed il ristorante in stile. Poi, in riva al mare, il reef ci dona una sorpresa durante il bagno pomeridiano: a pochi metri emerge una tartaruga marina e con la enorme mandibola e due occhi anch’essi sorpresi mi guarda e veloce come una saetta si immerge e fila via . . . resto ancora ad osservare la sagoma che si allontana lungo il reef, lasciandomi impietrito, ma soddisfatto della “visione” … E mai mi sono saziato di ammirare, osservare tutto ciò che si muove od odorare tutti i sapori di una terra piena di sorprese, per chi come me ha una sete insaziabile di conoscere, anche se il mio desiderio sarebbe stato quello di penetrare nelle foreste più remote e meno visitate da chicchessia. Per questo motivo mi riprometto di ritornare per concludere con un altro viaggio quella metà parte nord dell’isola ancora più selvaggia ed inesplorata, ove vive la gente tamil.

Molti dei siti della riserva sono inaccessibili, ma per potersi spingere oltre i normali percorsi bisogna contattare il Foreign Office o equivalenti, o ancora il Wildlife Conservation Department, i quali suggeriranno le migliori condizioni per allargare la visita.

Guglielmo Petrantoni

 
 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO

 




Amazzone di St. Vincent

Altri nomi: amazzone di Saint Vincent (I), Koenigsamaqzone (D) , Papagaio de sao vicente (Portoghese).

Amazona guildingii (Vigors 1837).

Amazzone di grandi dimensioni con faccia e vertice bianco sporco o giallo pallido; la colorazione del piumaggio è molto variabile e distingue due fasi cromatiche fondamentali: la più comune è marrone dorato, la più rara è verde. La coda ha la punta gialla e ampia banda subterminale blu; in volo è ben visibile il giallo sulle copritrici della parte inferiore dell’ala e quello alla base delle remiganti. La maggior parte degli esemplari ha del blu sul retrocollo o ai lati della parte posteriore del vertice. L’Amazzone di St. Vincent è l’unico psittacide all’interno del suo areale e anche in cattività difficilmente rischia di essere confusa con altre specie. È piuttosto vistosa durante le prime ore del mattino, alla sera e appena dopo mezzogiorno. Negli altri momenti della giornata rimane silenziosa nella canopea, impegnata nella raccolta del cibo o nella toelettatura. Spesso quieta e taciturna quando piove. Si alza in volo facendo molto rumore e, in volo, è appariscente e rumorosa. Il volo è veloce e diretto, caratterizzato da colpi d’ala molto energici.

Emette una grande varietà di richiami, gridi e strilli gutturali screee-eee-ah che ricordano il suono della tromba, gridi che ricordano il richiamo dell’anatra, uno scree-ree-lee-leee penetrante e stridulo, suoni  brevi e gorgoglianti simili al verso del cane, suoni aspri e stridenti draaak e sceeeet. In volo emette un sonoro quaw quaw quaw. Alcuni richiami sono molto complessi e si articolano su trilli, gridi acuti e sonori, fischi e strilli. Quando si nutre emette un suono che ricorda un alterco tra persone.

Il cartellone indicativo di onservazione della Amazona guildingii

Specie endemica dell’isola di St. Vincent nelle Piccole Antille. La sua distribuzione è strettamente legata alla presenza di foresta umida originaria che, per gran parte del XX secolo, è stata confinata sui versanti orientale e occidentale del crinale centrale dell’isola. Oggi è numerosa all’inizio delle valli Buccament, Cumberland, Colonaire, Congo Jennings-Perseverance e Richmond, dove si concentra gran parte della foresta orignaria superstite; sul resto dell’isola si trova in numeri molto più modesti. Nonostante molte delle stime riguardanti i numeri di questa specie tra il 1870 e il 1920 non siano concordi, è evidente il calo che si è verificato intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso. All’inizio degli anni Settanta la popolazione contava da poche centinaia a un migliaio di esemplari. Uno studio del 1982  ipotizzò l’esistenza di 421±52 esemplari, mentre una stima del 1988 ne suggerì 440-500; la popolazione contava forse 800 esemplari nel 1994. Il calo della popolazione e la contrazione dell’areale dipendono dalla perdita dell’habitat e dalla scomparsa della foresta umida che, in passato (almeno sul versante occidentale), quasi raggiungeva il livello del mare. La deforestazione sembra avere subito una battuta d’arresto almeno in alcune delle valli ma l’habitat è comunque a rischio a causa della selvicoltura, dell’espansione delle piantagioni di banane, della produzione di carbone, della scomparsa di siti adatti alla nidificazione e dell’attività commerciale che interessa i piccoli trafugati nei nidi. Nel 1984 della foresta originaria sopravvivevano appena 16km2. le attività di caccia e cattura che alimentano il commercio locale e quello internazionale hanno rappresentato tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta la minaccia principale alla sopravvivenza della specie, ma oggi sono tenute sotto controllo; gli effetti degli uragani, oltre ad essere causa diretta di mortalità tra gli esemplari di questa specie, mettono a dura prova la sua sopravvivenza anche causando la scomparsa delle piante che sono alla base della sua alimentazione e che forniscono i siti privilegiati per la nidificazione. Nel 1902 gran parte dell’habitat preferenziale dell’Amazzone di St. Vincent è stato distrutto dall’eruzione del Mount Soufriere ed è evidente che eventuali eruzioni future potrebbero minare ulteriormente la sopravvivenza della specie. Parte dell’habitat rimanente rientra nelle aree protette e la specie stessa è protetta dalle leggi locali. CITES appendix I. VULNERABILE.

Questa specie si trova prevalentemente in foresta matura montana, tra i 125m e i 1000m d’altitudine ma, dove ancora sopravvive, preferisce le foreste a bassa quota. Occasionalemente lascia la foresta per raggiungere le zone coltivate e i giardini. Gregaria, si trova solitamente in stormi composti da 20-30 esemplari o in coppia. Si nutre in stormo e si posa in comunità. Durante la stagione della riproduzione difende l’area circostante il nido ma si riunisce comunque in gruppi che contano una dozzina di esemplari quando si nutre e sui posatoi.

La sua dieta comprende le parti di Cordia sulcata, Clusia, Sloanea, Dacryodes excelsa, Ficus, Cecropia peltata, Mangifera indica, Melisoma vrescens, Euterpe, Ixora ferrea, Micropholis chrysophylloides, Acrocomia aculeata, Simaruba amara, Krugiodendron ferreum, Dussia martinicensis, Andira inermis, Inga ingoides, Byrsonima coriacea, Talauma dodecapetala, Chione verosa, Psidium Guajava e Aphanes erosa; tra tutte predilige la Pouteria multiflora. Nidifica nelle cavità del tronco di alberi maturi, ad esempio in grandi esemplari di Dacryodes o Sloanea. Il corteggiamento inizia a febbraio; depone le uova in aprile-maggio ma negli anni di siccità in gennaio-febbraio o addirittura in luglio. In caso di piogge particolarmente abbondanti, non si riproduce affatto. Depone solitamente due uova, raramente tre. Il tasso di natalità è molto basso con il 50% dei nidi che non produce alcun piccolo e il restante 50% da cui nascono non più di due esemplari.

Colorazione del piumaggio molto variabile: nelle tavole sono illustrate la fase marrone dorato e la fase verde, mentre di seguito viene descritta solo la fase marrone dorato. Fronte, redini, regione del sopracciglio e parte superiore delle guance bianco sporco; vertice giallo; penne su parte posteriore e lati del collo blu pallido con macchia blu scura al vertice, penne sulla nuca verdi con macchia nerobruno al vertice. Parti superiori marrone scuro con macchie più scure al vertice di alcune penne. Scapolari marrone dorato; remiganti primarie esterne con vessillo esterno blu spento; resto delle copritrici alari marrone con banda sub terminale verde e macchia scura al vertice di alcune penne; margine carpale giallo arancio con verde infiltrato. Remiganti primarie blu con base giallo arancio; dello stesso colore le remiganti secondarie esterne con banda sub terminale verde, remiganti secondarie interne verdi con macchia blu al vertice; remiganti terziarie interne verde scuro sfumato di marrone dorato sul vessillo esterno, remiganti terziarie esterne con base verde, progressivamente blu oltremare procedendo verso la punta. Sottoala con piccole copritrici marrone e macchia verde al vertice, grandi copritrici secondarie gialle, remiganti nero bruno con base gialla. Penne della gola arancio con punta blu o verde azzurro; parte superiore del petto marrone dorato con macchia marrone scuro al vertice delle penne cui si deve il disegno barrato; ventre di un marrone dorato più tendente al giallo rispetto al petto, con banda sub terminale verde e macchia nerobruno al vertice di alcune penne; sottocaudali giallo verde. Base della coda arancio con ampia banda blu al centro e ampia punta giallo brillante. Parti nude: becco color corno pallido tendente al grigio; iride arancio; zampe grigie.

Un gruppo famigliare.

Sessi simili. Nell’immaturo la colorazione è meno vivace.

Ala 25,3-27,5 cm.; coda 14,8-17 cm.; becco 3,2-3,9 cm.; tarso 2,7-3,1cm.

È possibile forse distinguere da un punto di vista genetico gli esemplari che si trovano nella parte orientale di St. Vincent (sopravento) da quelli che occupano la parte occidentale dell’isola (sottovento): la piccola popolazione orientale (solo 83 esemplari nel 1982) oltre ad avere la voce più acuta, sembra presentare una percentuale maggiore di esemplari appartenenti al morfo verde.

 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO



Studio e ricerche sul CARDELLINO Carduelis Carduelis (Linnaeus, 1758)

In tutte le lingue: Cardellino (I), Goldfinch (GB), Chardonneret (F), Stieglitz (D), Jilguero (S), Stehlik obecny’ (Ceco), Putter (NL), Szczygiel (PL), Eurbinc (Gallese), Putter(NL),  Черноголовый щегол (Russo), Sticlete (Rumeno), Saka (Turco),  kädimgi payız (Kazahk).

Il volo ad ali spiegate, che ne esalta la colorazione piena

In altri dialetti italiani: Sardo-Caldiddu, Cardanera, Cardaìna; Siciliano- Cardiddu, Cardujacalùni, Cardillinu;

Italia sett.le – Cardlin, Sganzilin, Ravarìn, Lavàren, Gàrdelo.

Italia cent.le –  Cardounnièra, Cardaìanna, Cadèllo, Caporosso, Carderùgio.

Italia merid.le – Cardìllo, Cardillicchio, Cardijuzza, Ramaci.

Il nome scientifico della Specie, Carduelis, è un tautonimo, poichè ripetizione di quello del Genere, quando venne spostato in un Genere a sé stante, poiché prima il Linneo lo aveva classificato nel suo Systema Naturae, Fringilla.

Con il nome latino, erano già conosciuti nell’antica Roma, poiché la derivazione è data dalla pianta bienne (che fruttifica una sola volta), erbacea e spinosa, il cardo (Cardus nutans), di cui lo stesso uccello si cibava dei semi.

Il gruppo di razze occidentali (Carduelis) a testa nera, abita le zone coltivate e fortemente antropizzate di gran parte dell’Europa, a partire dai 64° di latitudine nord della penisola Scandinava, ove si è insediato negli ultimi anni di questo secolo, e verso sud fino alla penisola Iberica, Italiana e Balcanica.

Nidifica anche nelle Azzorre, Canarie, Madera, nel nord Africa fra il Marocco e la Cirenaica. Verso est lo si trova anche in Asia Minore e in Medio Oriente sino alle regioni del mar Caspio, dove esiste una ampia fascia in cui si mescolano la forma occidentale con quella orientale.

La forma orientale a testa grigia (Caniceps), che nidifica essenzialmente nelle foreste miste di montagna, ove abita le regioni dal Turchestan all’Imalaia e dal Lago Baikal a Krasnojarsk in Siberia.

Questa specie produce ibridi con la forma maggiore del Cardellino detta C.c. major (Tacz.), e che vive ad est degli Urali.

Il Madarasz descrisse, sotto il nome di C.c. albigularis (Naturhist, Hefte, 1881, pag.21),una varietà della  specie, che presenta il mento l’alta gola bianchi, che venne trovata in Ungheria, in Dalmazia e, in Croazia, ma nel1889 passò tale nome (C. albigularis o Fringilla albigularis), nella sinonimia del C. carduelis.

… a caccia di semi di girasole

La sottospecie C.c. frigoris era conosciuta in passato come Carduelis carduelis major (Taczanowski, 1869) tuttavia la denominazione viene considerata un sinonimo obsoleto e non più valido.

In Italia la forma tipica è comune ed in gran parte stazionaria, nidificante, o svernante in tutta la penisola, mentre le popolazioni della Sicilia, Sardegna e Corsica appartengono alla sottospecie  C.c. tschuldi (Arrigoni degli Oddi, 1902) dal becco più sottile della forma nominale, con le copritrici auricolari più brune, rosso scarlatto della maschera più intenso, ala leggermente più piccola; per quanto ritengo che la popolazione presente nell’isola di Pantelleria, siano soggetti della sottospecie  sud –occidentale C.c. parva (Tschusi, 1901), molto diversa dalla sottospecie dalla sud-orientale. C.c. balcanica (Schtlebe, 1919), anche se il Dott. A. Pazzucconi nella sua opera recita: ”in Sicilia vi è la razza bruniventris Schiebel”.

Maschera rosso-cremisina, facilmente riconoscibile dal becco più alto che largo alla base biancastro con apice  scuro, senza setole, la faccia e gola di un rosso-cremisino; parte mediana e posteriore della cervice ed una fascia che da essa discende sui lati del collo, nero-vellutate; lati della testa, regione auricolare, parte posteriore delle guancie, centro del petto e dell’addome di un bianco più o meno puro; dorso, groppone e lati del petto nocciola-carico; sopra coda bianco –fulvo; remiganti con una macchia bianca apicale, ma non sempre presente in tutte, tutte hanno un largo spazio giallo dalla base a circa metà lunghezza, anche le copritrici grandi esterne delle ali sono in parte di tal colore e la colorazione gialla forma uno specchio alare notevole; timoniere nere. I sessi possono dirsi eguali, però la femmina è sempre distinta dal maschio, perché le piccole copritrici alari hanno margini bruno – giallo, che mancano del tutto nel maschio. Manca il rosso sulla faccia e le tinte nere sulla testa.

In definitiva porta tonalità più sbiadite. Pur non di meno nei soggetti sessualmente maturi i maschi e le femmine, presentano la caratteristica maschera rossa ed una barratura alare giallo brillante, spesso descritta come giallo ginestra, mentre nei giovani vi è la sola barratura alare gialla. Il rosso della maschera contiene carotenoidi gialli analogamente alle remiganti; la differenza del colore è dovuta al particolare legame tra cheratina e carotenoidi che sposta il colore di questi ultimi verso il rosso. Si ha quindi un effetto di tipo strutturale. Non è escluso che la fusione delle barbule che caratterizza al microscopio le penne della maschera, possa incidere. Il primo aspetto è stato segnalato dal prof. Stradi, il secondo da Lucarini.

Lungo 140 mm; becco 13 mm; ala 80 mm; coda 50 mm; tarso 16 mm

E’ possibile in natura, sia soggetto a varietà melaniche e più di rado alle albine; però, di solito, la tinta gialla resta immutata.

L’habitat è costituito da regioni naturali o semi-naturali aperte con vegetazione pioniera, da giardini e parchi in zona urbana. Rispetto al Verzellino o Verdone cui spesso è associato, sembra essere maggiormente dipendente dalla presenza di conifere ornamentali, di alberi da frutta e da ampie zone aperte con vegetazione erbacea ruderale. In Sicilia ha variato il luogo di nidificazione, dagli ulivi cui era solito, verso la formazione a cespuglio di Bougainvillea spectabilis, per difendersi dai predatori, come la Gazza ladra(Pica pica).

Di solito il nido è posto ben inserito tra le sottili ramificazioni o biforcazioni periferiche della chioma degli alberi, o tra le piante rampicanti, in prevalenza su piante ornamentali o da frutto, in particolare Cupressaceae e Rosaceae, molto frequente su Prunus dulcis.

La costruzione del nido è un elemento molto singolare tra le attività riproduttive degli uccelli, ma le circostanze in cui avviene sono assai diverse, e particolarmente, tutte le fasi intermedie esistono tra una costruzione lunga e precisa di nidi elaborati e una sistemazione di dispositivi sommari.

Quello del Cardellino – edificato dalla femmina, che ne sceglie il sito sulla biforcazione dei rami – è dalla forma a coppa, arrotondato, ben curato ed elaborato, intessuto con erbe secche miste ed avizzite, fibre, radichette e piumino vegetale; all’esterno guarnito con ragnatele e licheni, inoltre internamente con infiorescenze, crini e peli, e ancora amenti a grappolo di Quercus, Salix, e Populus.

Depone ad intervallo di un giorno, tra la prima metà di aprile a luglio, raramente ad agosto, in Sicilia da marzo, nord Italia dalla seconda metà di aprile sino a luglio. Finlandia dalla prima metà di maggio; mentre in nord Africa metà di marzo. Le covate possono essere due o tre nella stagione e con qualche covata di rimpiazzo in funzione di eventi naturali o altro.

Le uova liscie e lucide, da due a sette di colore azzurro chiaro; i giovani schiudono da esse a due settimane, implumi e cechi e dopo 18 giorni sono pronti per l’involo, ma restano nei pressi del nido per lo svezzamento finale almeno per altri venti giorni, senza più frequentare l’interno del nido, in quanto la mamma è pronta per una successiva deposizione.

Sono possibili anche due o tre covate, incubate dalla sola femmina per 11-12 giorni dall’ultimo uovo, alimentata al nido dal maschio.

Prevalentemente vegetariano, solamente in primavera ricerca Coleotteri, Lepidotteri, e Ditteri, ma in minima parte e solo per il fabbisogno energetico, che risulta aumentato nel periodo degli amori, corteggiamento e allevamento della prole, mentre i nidacei vengono alimentari con semi e data la conformazione del becco a pinza, gli è permesso di raggiungere i semi dello spinoso Cardo rosso (Carduus nutans) e Cardo  asinino (Cirsium vulgare), fluorescenze disponibili dalla primavera alla fine estate. La dieta è anche rappresentata dal Tarassaco (Taraxacum officinale), e le erbacee del genere Senecio, Centaurea e la Bardana maggiore (Arctium iappa). Agli inizi si settembre scarseggiando i semi delle precedenti citate piante, i Cardellini si rivolgono a semi di altre essenze del genere Dipsacus, Alnus e Betula.

Gradisce anche semi ancora verdi di: Agrimonia eupatoria, cicoria comune (Cichorium intybus), romice o Lapazio (Etimo greco-bizantino da Λάπαζον), genere (Rumex), crespigno degli orti (Sonchus oleraceus) e girasole, ma gradiscono anche germogli e foglioline di Cipresso (Cupressus) ed il Ginepro (Juniperus).

Nelle gare di canto in mostra emette con giusti tempi e scansione calibrata, un suono in sequenza: pliò-ble blè-zipè-ziò ed inoltre zipè-ble ble-ziò, a differenza il selvatico, per quanto sia armonioso e gradevole, non assomiglia al canto del ”cugino” in ambiente controllato, probabilmente per una origine ereditaria, dovuta alla necessità di comunicare par segnalare eventi di allarme o concitazione tra maschi.

Variabilità geografiche:

1° gruppo Carduelis  carduelis

C.c. britannica (Hartert, 1903); Gran Bretagna, Francia sett.le e Paesi Bassi.

C.c. parva (Tschusi, 1901); Penisola Iberica a sud Pirenei, isole Baleari, nord Africa, isole atlantiche Azzorre Canarie.

C.c. tschusi (Arrigoni degli Oddi,1902); Corsica, Elba, Sardegna, Sicilia, Campania.

C.c. balcanica(Sachtleben,1919); Penisola Balcanica, Romania, Turchia, Creta.

C.c. niedieki (Reichenow, 1907); Medio Oriente.

Cc. brevirostris (loudoni) (Zarudny, 1889); Crimea, Caucaso, Crimea, nord della Turchia ori.le e Iran occ.le.

C.c. colhica (Koudashev, 1915); Caucaso e Crimea, nord-est Turchia.

C.c. volgensia (Buturlin, 1906) Ucraina, Russia, Kazakistan.

C.c. frigoris (Wolters, 1953); Il Cardellino già major, Siberia, est Urali e monti Altai sino a sud di    Semipalatinsk.

2° gruppo Carduelis caniceps

C.c. poropanisi (Kollibai, 1910); Turkimenistan, dall’Iran alla Cina nord-occidentale.

C.c. subulata (Gloger, 1833); Kazakistan, centro Siberia, Mongolia.

C.c. caniceps (Vigors, 1831); Himalaya, Pakistan, Tibet, Nepal.

Note d’allevamento in ambiente controllato

Prima di cimentarsi nell’allevamento del Cardellino, occorre scegliere soggetti di tipologia selvatica tipica del medesimo areale (stessa popolazione d’origine), affinché essi dopo un periodo di adattamento possano agire in armonia e comprendersi anche vocalmente (vi possono essere dialetti locali non dimenticati).

Adatte una gabbia all’aperto o mini voliere da canarino, con dei posatoi che agevolino il volo e con una parte laterale coperta per evitare correnti. Cosa buona sarebbe porre due o più lati dei rami di quercia o pino, al fine di rendere “camouflage” la gabbia.

L’alimentazione invernale può andare bene la miscela per canarini con aggiunta minima di semi piccoli di girasole e semi di cardo. Utile dei biscotti sbriciolati tipo savoiardi. La fettina di mela, osso di seppia, un po’ di radicchio.

Nel periodo che porta alla primavera integrare con le erbe selvatiche raccolte nei campo come il Tarassaco da cambiare giornalmente, il centocchio ancora verde, e spighe immature di varie erbe graminacee tra queste ultime la più gradita è  la Dactalys  glomerata, cardo selvatico che cresce da marzo sino a settembre, non ultimo il sorgo selvatico, Sorghum halapense, pianta erbacea delle famiglia delle Poaceae  molto diffusa, originaria del mediterraneo, specie infestante ed invasiva, da servire verde. Le piante danneggiate dal caldo o freddo sono da escludere in modo assoluto.

Per la costruzione del nido fornire: sfilacci di juta, del cotone idrofilo sfilacciato e dei licheni, muschi, crini e perché no, ragnatele. Alla deposizione delle uova, specialmente per una primipara, sostituire le uova con altre finte, per poi a deposizione ultimata rimetterle a dimora nel nido.

Per i giovani allo svezzamento e aumentare l’apporto proteico fornire afidi, quelli di veste bruno, verde o rosa, evitando quelli scuri; inoltre ogni utile cibo che il singolo allevatore per propria esperienza ha già sperimentato, la varietà delle sostanze è comunque di sicuro impatto positivo sulla crescita.

Attenzione, la somministrazione di alimenti contenenti carotenoidi è determinante contenendo il giallo delle remiganti analoghi carotenoidi del rosso della maschera; la differenza del colore, come precisato sopra, è dovuta al particolare legame tra cheratina e carotenoide, che sposta il colore giallo verso il rosso. Sappiamo che i carotenoidi sono pigmenti dotati di ampia diffusione, il più conosciuto è il carotene che dà colore alle carote, mentre il pomodoro è colorato di un altro carotenoide, il licopene. I carotenoidi – responsabili della colorazione di molte piume – sono presenti anche nelle foglie verdi, semi, germogli e frutta! Ecco perché la somministrazione di erbe selvatiche verdi ricche di questo elemento, favoriscono specialmente nel Cardellino, in base alla concentrazione di caroteinoide, la colorazione tanto da farlo apparire giallo o rosso nei punti diversi del piumaggio. Da escludere, ovviamente, la colorazione artificiale che renderebbe arancio la barratura alare.

In ultimo a tutti gli allevatori sia di sprone questo trattato se pur breve, ma condensato di notizie che mi hanno coinvolto, e possa essere nota per migliorasi  . . . purchè ci si doti di un sacchettino di umiltà e buone speranze !

Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO

 




Allevare uccelli del Paradiso con la dottoressa Alicia Solis Aguirre

Paradisea rubra (Daudin, 1800), disegno originale di: Lith. Ansi. v. C. Schach in Stuttgart

paradisea rubra

Le sterminate foreste vergini della Nuova Guinea e delle isole adiacenti ospitano un mondo vegetale ed un mondo animale dalla inesauribile dovizia di forme e colori, e la meraviglia più grande di questo ambiente naturale sono gli uccelli del Paradiso. Non ci si deve meravigliare se alcuni dotti del tempo ritenevano che si trattasse di uccelli divini, viventi perennemente nell’aria, lungi dagli sguardi umani, che si nutrissero e dissetassero unicamente con la rugiada del cielo e cascassero a terra solo dopo morti.

Ma  queste credenze si protrassero per molti anni ancora anche nel 1522 allorquando il diario di bordo  del Pigafetta sulla nave “Vittoria”, secondo ufficiale di Maggellano, così recitava” . . .questi uccelli non volano mai, solo se c’è vento li chiamano “bolon dinata”1 che significa Uccello di Dio, sono della grandezza di un tordo,hanno becco lungo non possiedono ali, ma hanno al loro posto lunghe penne ornamentali dei più svariati colori, simili a piume . . .” si trattava di Paradisee papuane  generalmente  conosciuta fra gli ornitologi ,mentre il vero nome è Paradisea minor ( Shaw, 1809 ) . Lo stupore degli studiosi di quei tempi non fu solo il manto setoso delle penne, ma anche che le tinte originali non deperivano dopo la morte.

Per molti anni ancora e solo nel 19° secolo s’iniziarono le prime ricerche scientifiche sulla natura di questi superbi  uccelli, con lo zoologo Alfred Russel Wallace, contemporaneo di Darwin, il quale effettuò nel 1857 con una imbarcazione malese un viaggio esplorativo nelle  remote isole Aru. L’era delle scoperte toccò l’apice verso la fine del diciannovesimo secolo, tanto che era usanza di dedicare a nuove scoperte di animali alle teste coronate, si assistette così al battesimo del Ptiloris Victoriae, della Paradisea Guilielmi e della Paradisea Augustae Victoriae. Non Mancò anche al francese Charles Lucien Bonaparte, nipote del grande Napoleone e repubblicano per la pelle, di intitolare e descrivere l’uccello Repubblicano del Paradiso (Diphylloides respublica, Bonaparte, 1850)2.

La coppia presa in esame per la riproduzione dalla Dottoressa Alicia  Solis, è la Paradisea rossa (Paradisea rubra), alloggiate in una grande voliera ambientata con alberi e piante tropicali, come Impatient walleriana conosciuta anche come gamba di vetro per la fragilità dei suoi fusti, il Ficus benjamina, Ficus pumila , pianta tropicale d’appartamento conosciuta con il nome di Fico rampicante , Ficus repens anch’essa rampicante, Scheffiera arboricola dai fusti alti e flessibili con foglie grandi, Thuntergia alata pianta rampicante sempreverde chiamata Susanna dagli occhi neri, e tra i rami di esse è molto importante inserire dei rami spogli in obliquo e orizzontale, ove possa il maschio iniziare i balli.

La voliera dalle misure di circa dieci metri per una larghezza di dodici metri, in cui determinante è l’altezza di circa quattro metri. Questa grande voliera divisa in due (da una parte il maschio, dall’altra la femmina) e comunicante attraverso un tunnel di rete della misura di 60 cm lunghezza x 30 cm larghezza x 30 cm. Tale stratagemma servirà per far sì che il maschio ancora costretto nella sua metà, inizi il corteggiamento con una serie di balletti detti in dialetto indigeno “sacaleli”, cioè il ballo nunziale di richiamo che ha luogo con un richiamo, acuto ed aspro uook-uook-uook, e conclude con toni alti ca-ca-ca-ca-ca-ca, seguito poi da movimenti frullanti delle ali, su di un ramo accuratamente ripulito da fogliame e detto arena. A poco a poco l’uccello raggiunge uno stato di eccitazione sempre crescente finché, ad un dato momento, si compie un meraviglioso cambiamento, come se un estroso mago avesse toccato con la sua bacchetta magica il maschio, e le ali brune si drizzano in alto, le code si abbassano e si schiacciano in avanti, si ergono a mo’ di fontana i ciuffi delle piume ornamentali, fini come seta e tinte di giallo oro verso l’occipite, per poi ricadere sul dorso in soffice arco. In questa posizione il corpo dell’uccello resta teso per un certo tempo, mentre le ali frullano e un leggero tremito serpeggia lungo la coda ondulante. Poi inizia a saltellare emettendo il solito gracidio forte, spiega le penne in tutta la sua bellezza e dà inizio ad una danza selvaggia e di fascino quasi irreale. Quando il fuoco dell’eccitamento raggiunge il culmine, subentra un nuovo plastico cambiamento. Di colpo il corpo viene spinto in avanti, le ali si aprono a ventaglio fino a formare uno scudo chiuso davanti al capo chino, le penne ornamentali si drizzano rigide verso l’alto. Questo stadio simile all’estasi, l’uccello in amore fa’ sfoggio ancora del massimo della magnificenza cui è dotato, resta fermo alcuni secondi, rigido nella posizione finale assunta, poi si rialza, e comincia di nuovo con instancabile lena, ripetendo tutte le figure della danza.

Tanto preso dalla frenesia del ballo, nulla riesce a distrarlo, in questo momento si apre il tunnel per favorire il passaggio verso la femmina o viceversa, la quale assisteva colpita alla parata; Maschio e femmina restano assieme solo per un breve tempo, quel tempo per consumare il “pasto”. Effettuato il passaggio in voliera unica, essi restano ancora insieme per due o tre giorni, poi vengono divisi nuovamente. Il maschio in natura riprende le sue danze per cercare di attirare più femmine e copulare nuovamente, ma è noto comunque che il maschio esaurisca il suo amore nello sfoggio della propria bellezza e sia poi completamente dimentico dei doveri di padre; pertanto tutto ciò che concerne la cura della prole, la costruzione del nido fino al nutrimento dei piccoli, ricade unicamente sulle “ali” della femmina.

Il nido viene costruito all’interno di un predisposto cesto di vimini intrecciati di circa di 20 cm di diametro e 10 di profondità, in cui vengono deposti pezzi di piante di Ficus. Il compito della madre è in un certo qual senso è facilitato del fatto che le nidiate, in generale non contano più di due uova, incubate per 14-17 giorni, e che poi alimenta sino all’involo per circa 20-25 giorni. Raggiungerà il completamento della livrea solo dopo il sesto anno di età.

Possiamo dire che anche nelle nostre terre vi sono uccelli che si comportano in modo eguale alle paradisee cioè sono poligami, lasciando alle femmine meno appariscenti il compito dell’allevamento: il fagiano di monte (Lyrurus tetrix) e l’urogallo (Tetrao urogallus).

Due curiosità interessanti da conoscere: in natura è possibile che si abbiano ibridi da accoppiamenti derivati da extra-specie di paradisee, Paradisea mixta Rotschschildi 1921, Paradisea minor x Paradisea raggiana; Paradisea minor f. x Paradisea apoda augustea-victoriae Stresemann 1930. La circostanza che i bastardi non siano poi tanto rari in natura, ci lascia intravedere il pericolo di elevate eterogenee mescolanze per gli uccelli che non vivono regolarmente in coppie. Questi soggetti prodotti dagli accoppiamenti extra-specie sono riconosciuti alfine per tali, e rappresentano uno dei più movimentati capitoli nella storia delle scoperte nel mondo degli uccelli del Paradiso.

La leggenda narra che gli uccelli del paradiso erano assenti di zampe, in quanto avevano la possibilità di appendersi ai rami con le loro lunghe penne, ed i soggetti che furono donati dagli indigeni ai primi esploratori erano proprio privi delle zampe e delle ali, poiché era costume che a seguito di affumicatura della pelle, privi anche di interno, venissero imbalsamati. Anche il Linnaeus, già nel periodo più fulgido degli studi naturalistici, chiamò un genere di “tsiankar”3 con il termine scientifico di Paradisea apoda, Uccello del paradiso senza zampe. Solo nel 1994, il farmacista Renè Lesson, chiarì il mistero, scrivendo in un ampio rapporto circostanziato , smentendo tutte le credenze del passato.

Oggi attraverso le esperienze della dottoressa Alicia Solis Aguirre presso la Fundacion CAZ in Cile, abbiamo la possibilità di redigere un documento-protocollo, che illustri in ogni sua parte del progresso di allevamento di una coppia di Paradisea rubra in ambiente controllato, con la sequenza fotografica e con particolari di piccoli sino allo svezzamento completo. Questo uccello il cui nome scientifico deriva dal latino ruber-a-um, in riferimento alla colorazione rossa delle piume da cui è derivato il nome comune scientifico; dal peso di 110-224 gr., misura 30-33 cm di lunghezza nel corpo e complessivi 70 cm con la lunga coda. Uccello robusto, durante il periodo non degli amori, trascorre il tempo in solitario sulla canopia delle forestetropicali intorno i 600 slm, in ricerca di cibo. Presente sulle isole Waigiou, Ghemien e Batanta , gruppo delle Raja Ampat, dove vive in simpatria con la Paradisea repubblicana.

Alimentazione. Sono uccelli largamente frugivori, la cui dieta viene integrata con alimenti di origine animale, come insetti o Entomi e piccoli invertebrati.

 (Lettura foto: da sinistra verso destra – dall’alto verso il basso)

Scheda di allevamento, con protocollo per allevamento a mano, e sequenza foto.

Note
  1. Capitolo 4, pag. 43 (Pigafetta, 1987:35 ), They call them bolon dinata.
  2. Così recitva Buonaparte quando dedicò l’appellativo alla Paradisea repubblicana: ”Ci sono scrittori che si danno ogni pena per battezzare le loro specie più belle con i nomi dei principi; io, che me ne rido dell’autorità di tutti i principi del mondo ,ho adornato questo splendido uccello del paradiso con il nome della repubblica,; di quella repubblica che sarebbe essa stessa un paradiso, se non fosse trasformata in inferno dalle sordide mene e dall’egoismo di un sacco di repubblicani  indegni di tal nome. Così, siccome non è possibile avere una repubblica paradisiaca, ci sia almeno una paradisea repubblicana”
  3. Tsiankar, nome attribuito dagli abitanti della Paupasia alla Paradisea minor.
Bibliografia consultata di proprietà dell’autore:
Dra.Alicia Solis Aguirre,Keeping and breeding of bird of Paradise,2015.
Bulletin of the British Ornitologist’Club, 41, p.127, 1921.
Novitates Zoologicae, 36, p. 14,1930.
E.Fuller, The lost birds of Paradise, 1995.
T.Iredale, Birds of Paradise & Bower birds, 1950.
O.Beccari, Nuova Guinea, Selebes e Molucche: Diari di viaggio, 1924.
D.G.Elliot, Monograph of the Paradiseidae,1873.
W.T.Cooper, The birds of Paradise and Bower birds,1977.

Testo e adattamento G. Petrantoni, Foto e protocollo Alicia Solis Aguirre & Foundazion CAZ, Chile

Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO