Dal diario di viaggio di un ornitologo e naturalista, Africa

Il Ruwenzori (Africa), e il grande vecchio Nilo, serbatoio di vita animale.

Le misteriose sorgenti del grande fiume nella catena montuosa del Ruwenzori, sono il luogo di nascita del Nilo. La catena montuosa, sita tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo, che da sui 5ooo metri di altitudine , scende verso valle in centinaia di rigoli, ruscelli e piccoli corsi d’acqua, per confluire poi nel grande Nilo, re dei fiumi che dall’Equatore scorre sino al Mediterraneo portando la vita con foreste e poi lungo un inferno di sabbia. In questa moltitudine di varianti geografiche, di clima, di foresta, vivono le più svariate specie di uccelli dell’Africa equatoriale, (217 SPECIE di uccelli), MAMMIFERI E PRIMATI. La flora è suddivisa in cinque aree distinte in funzione della altitudine.

Le montagne del Ruwenzori, che in lingua Botoro vuol dire “il signore delle piogge”, intrappolano l’aria umida proveniente dal bacino del Congo e la trasformano in neve ed acqua gelida, così si forma la culla del Nilo, circondata da una foresta magica, l’intera area è protetta ed è Parco Nazionale per una estensione di circa mille chilometri quadrati, attraverso valli tropicali a diverse altitudini, il senecio arboreo cresce in terreni paludosi di queste valli e riesce a raggiungere i sei metri di altezza, ma viene sormontato dalla Lobelia gigante (Lobelia decknii), che ha una singola roseta filiare e produce i fiori su una grande spiga verticale, che raggiunge i sette metri di altezza. A queste altitudini è l’unica specie vegetale che produce nettare, ci sono le mosche e non insetti adatti a impollinarle, e per questo compito la pianta ha ingaggiato un bellissimo uccello variopinto, la Nettarina di Johnston (Nectarina johstoni), che per questa sua abitudine alimentare contribuisce alla impollinazione ornitogama.

Questo uccello fa bella mostra del suo piumaggio iridescente, e la Lobelia è il suo albero della vita, perché provvede al nutrimento essenziale, essendone unica pianta produttrice di nettare, naturalmente in cambio l’uccello provvede al trasporto del polline dall’antera di un fiore allo stigma del fiore di un individuo differente della stessa specie.

Il senecio arboreo è una dimora ideale per la nettarina, dato che non perde le foglie morte, diventando queste un posto sicuro per ripararsi dal freddo e dalle piogge.

Al termine della stagione delle piogge, inizia l’arrivo delle femmine che vivono ad altitudini più basse e dove la vita è più facile e le temperature più miti, esse iniziano la ricerca del maschio per accoppiarsi. Le femmine scelgono in base alla lunghezza della coda del maschio ad il modo in cui si cimenta per la difesa del territorio per la tenuta delle piante di Lobelia, fonte di cibo specialmente nel periodo di alimentazione dei pullus.

Il corteggiamento ha inizio con il canto e si perpetua con il tremore delle ali e ondeggiamenti, tipici del rituale, che si esaurisce con la cerimonia dell’accoppiamento in uno o più voli acrobatici di entrambi.

Il maschio poi mostra fiero le proprie macchie rosse di sotto ala , caratteristica distintiva della specie. Il nido viene preparato dalla femmina , preferibilmente tra le foglie morte della stessa pianta che fornisce il nutrimento.

Non appena i piccoli sono in grado di volare le femmine tornano al clima più caldo delle regioni a valle, mentre i maschi restano per continuare a difendere il territorio di alimentazione.

Di giorno estate di notte inverno questo è il clima in queste alte montagne, tanto che le piante devono saper gestire le temperature rigide, infatti le foglie sono munite di minuscoli peli che servono per intrappolare uno strato di aria calda, come un caldo cappotto invernale, ed altre specie producono il proprio antigelo .

Ogni goccia d’acqua che ha origine dai monti Ruwenzori appartiene al Nilo,e la pioggia cade formando migliaia di piccoli ruscelli che scendono a valle e alla fine tutta l’acqua si riversa dalle regioni alpine verso una grande foresta montana, sotto i 4000 metri e i ruscelli di montagna ne lambiscono gli alberi nodosi che sono ricoperti da licheni e muschi, il paesaggio è ricoperto di erica, tanto da rendere una foresta da fiaba. In questa foresta vive il rarissimo Cefalofo dalla fronte nera (Cephalophus nigrifrons rubidus), animale timido e sfuggente.

Al di sotto dei tremila metri ha inizio una foresta pluviale sempre verde ricca di molti uccelli, endemica di questi luoghi la Nettarina montana ( Cinnyris regius ),la cui dieta è prevalentemente di nettare e insetti, costruisce un nido a forma di borsa, sospeso tra i rami e la femmina che si occupa della edificazione, anche se comunque il maschio collabora. Si ciba con nettare dei fiori di Albizia sp.,Canthinum sp., Englerina woodfordiodes,Lobelia giibberoa e molte altre fluorescenze dato che frequenta foreste tra 1500 e 3000 metri, ove il clima diurno mite consente una buona crescita di piante utili loro.

Nidifica costruendo il nido ovale costituito da fibre , tra i rami del bamboo ad altezze di quattro metri, o sulle piante di Polyscias fulva oltre i cinque metri, nei periodi compresi tra aprile e agosto, in funzione della località di deposizione o del versante montano.

L’animale più chiassoso della foresta è il Turaco, è facile da sentire ma difficile da vedere, perché vive in alto tra la chioma degli alberi. Il Turaco blu maggiore (Corythaeola cristata), può raggiungere la grandezza di un oca è di un azzurro intenso su tutto il corpo ad eccezione della cresta sul capo , di colore nero.

La foresta pluviale utilizza gli uccelli come giardinieri, mangiano la frutta, lasciandoli cadere a terra aperti o intatti, facendo sì che i semi siano sparsi in tutta la foresta, contribuendo alla diffusione delle piante in altre aree.

Il Turaco blu maggiore è piuttosto diffuso in tutta la foresta ugandese e congolese,a differenza del Turaco del Ruwenzori (Ruwenzoronis johnstoni), specie monotipica abbastanza difficile da individuare, sia a causa del piumaggio scuro che lo rende quasi invisibile tra i rami sia perché si muove in coppia e quasi mai a gruppi come il Turaco blu maggiore.

Il segreto per avvistarli è di ricercare prima di tutto il loro albero preferito (Podocarpus) nella stagione di fruttificazione, essendo frugivoro per il 90% della dieta e il rimanente percento foglie, altri fiori e frutti contribuiscono alla dieta, (Galiniera, Musanga, Olea). Costruisce il nido tra i bamboo, a tre metri da terra, e forma una piattaforma alla stregua di quelle dei piccioni , con la deposizione di un uovo tra maggio e settembre.

Lasciate le altitudini della foresta pluviale di Nyungwe, il Nilo dopo molte deviazioni si raccoglie nel fiume Kagera, prima di gettarsi nel lago Vittoria, il bacino più grande dell’Africa. Di questo enorme lago e lungo le sponde il lago offre sostentamento a trenta milioni di persone che vivono in funzione di esso con la pesca, ospite tra l’altro una meravigliosa e cospicua forma di fauna del mondo naturale.

Intere colonie di tessitori testa nera (Ploceidae),piccoli uccelli passeriformi, caratterizzati da colori vivaci e dall’abitudine di costruire in colonia nidi di grandi dimensioni. Lungo le rive e sugli alberi della costa i tessitori, che sono i maestri artigiani dell’Africa, raccolgono i materiali per i loro elaborati nidi dai cespugli e dai prati sulle rive. Dal marcato dimorfismo sessuale i maschi hanno livree giallo intenso con testa nera mentre le femmine un aspetto piuttosto dimesso. Sono uccelli granivori la cui dieta si adatta alla disponibilità stagionale delle risorse. Animali gregari con nidi a colonia, spesso sospesi e costruiti dal maschio. La femmina depone da due a otto uova. Il lago Vittoria ospita migliaia di questi piccoli passeracei, che sono stati oggetto di larga cattura nel passato.

Trampolieri di ogni genere, occhioni e la bizzarra Ombretta , sono i frequentatori di questo stupendo ecosistema.

A nord-ovest, il Nilo riprende la sua corsa, e il suo viaggio avventuroso verso il deserto e poi per sfociare nel Mare Nostrum.

Ho cercato di stringere nella estensione, sia le distanze del grande fiume- circa seimila chilometri- come anche l’elenco lunghissimo degli animali lungo il suo corso, non certo per mancanza di tempo, ma per mancanza di spazio, sarebbe stato necessario un trattato, ma ciò che mi premeva, era dare una giusta conoscenza di come si evolve un fiume che è stato oggetto nel passato di una grande spedizione italiana in nome e per volontà della allora Regina Margherita.

Guglielmo Petrantoni

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Amazona dufresniana – Amazzone dalle guance blu

 Amazona dufresniana

Dopo tanti tentativi finalmente possiamo dire che per la prima volta in Italia e per la terza in Europa si è riprodotta in cattività l’Amazona dufresniana dufresniana (Shaw, 1812).

un evento raro ed eccezionale: incomincio dall’inizio e percorro tutte le tappe!

 

Era il 2003 quando sono venuto in possesso di una coppia adulta di amazzone dalle guance blu. I due pappagalli erano molto colorati e in perfetta piuma, ma estremamente nervosi, tanto che la prima sistemazione fu in una voliera sospesa, in mezzo alla vegetazione, dalle dimensioni di 2 metri di profondità, 1 metro e 50 di altezza e 1metro di larghezza. La porta a cui accedevo per somministrare il cibo era cieca, non solo al fine di rendere sicuro lo sportello dell’alimentazione, ma anche per dare agli stessi un senso di protezione e tranquillità!

Allo stato naturale l’Amazona dufresniana dufresniana abita nelle impervie e impenetrabili foreste tropicali umide, sui dorsi montagnosi interni del Tepui (Suriname), dove le variazioni di temperatura sono continue! Cito questo anche perché la stagione che stiamo vivendo in Italia molto assomiglia alle condizioni favorevoli per la riproduzione di tali uccelli.

La situazione di alloggiamento citata fu adottata per due stagioni riproduttive, avendo avuto cura di posizionare il nido di spalle alla porte cieca, così da ispezionare l’interno senza disturbare.

Non voglio dare la colpa al tempo o alla alimentazione, ma nei due anni, anche se molto affiatata, la coppia non diede alcun segno positivo per la riproduzione e la cavità per deporre venne completamente ignorata.

Nell’inverno 2006 decisi di spostare la coppia in una voliera molto isolata di 3 metri per 4, alta 2, con un rampicante di edera che ne copriva la metà. Posi il nido di dimensioni discreta, altezza 50 cm., con una base di 30 x30, che la stessa avrebbe potuto con agio frequentare, dotato di una apertura da12 cm., nella parte più interna della voliera e lontano dalle mangiatoie.

Non credo che la soluzione abbia prodotto effetto,  dato che per tre anni le amazzoni rimasero inattive, nervose e per nulla interessate al nido o a qualsiasi atteggiamento che potesse far credere a un accoppiamento. Inoltre, osservando il maschio, se pur bello e affiatato con la compagna, non posso affermare che l’abbia mai corteggiata, tanto che, dubitando della bontà di entrambi, li  sottoposi a una endoscopia conoscitiva dei loro organi riproduttivi: tutto in ordine come nel 2003, ovaie complete e maschio pronto!

 

Occasionalmente in visita presso un amico, potei osservare  che era in possesso di un maschio molto bello e vedovo, al quale, secondo suo dire, era impossibile trovare una femmina nuova, visto che la sua era deceduta. Concordatone il prezzo, mi adoperai per portarlo a casa!

Questa volta però mi preoccupai di spostare la coppia in un nuovo sito e di cambiare il maschio.

Nella  primavera dell’anno 2010 concordai con il mio amico di sempre,Claudio Garani, di portare nel suo allevamento la coppia e il nuovo maschio, al fine non solo di riposizionarla, ma di provvedere alla sostituzione!

Detto fatto e in una voliera lunga 3 metri, larga 1, chiusa da entrambi i lati e a cielo aperto solo per 1 metro, la nuova formazione di coppia fu posizionata in attesa di un proficuo accoppiamento. Naturalmente è inutile dire che il nuovo maschio, per altro pezzato di giallo, cominciò subito a mostrare interesse verso la compagna, che venne ricambiato.  . . Questo atteggiamento, in effetti, dava molte buone possibilità di una favorevole conclusione, anche se devo dire che il nervosismo degli stessi non era cambiato, allorquando si accorgevano di essere osservati da occhio umano!

Si procedette in tal modo per tutta la stagione riproduttiva, senza però risultati concreti. Ma qualcosa nell’aria era cambiato: la femmina manifestava atteggiamenti che prima non aveva mai avuto e il maschio faceva di tutto per assecondarla e proteggerla. Tuttavia alla fine della stagione nulla di più.

 

 

In questo lungo calvario, durante il quale con il mio amico facemmo mille supposizioni e altrettante valutazioni che andavano dal cambiamento dell’alimentazione o da sue integrazioni o  al mutamento, per l’ennesima volta della posizione, decidemmo di cambiare voliera.

La nuova sistemazione per il 2012 era costituita da una voliera destinata alle ara, di grandi dimensioni, all’interno di un lungo corridoio dove altri soggetti, non della stessa specie, erano alloggiati, lontano da occhi indiscreti e in un’area riservata. Dentro fu posizionato un nido orizzontale per ara, che dava possibilità di ispezione dall’interno di un altro corridoio. Prima dell’inizio della stagione primaverile che prelude alla deposizione, probabilmente grazie alle intuizioni di Claudio, vennero posizionati altri due nidi, però entro la voliera: uno all’altezza del capo di un uomo e l’altro all’altezza della cintola, agli estremi della voliera. Questa soluzione, benché non avrebbe dato la possibilità di controllare l’interno dei nidi, era stata dettata dall’acuta osservazione di Claudio, il quale aveva notato che, subito dopo il posizionamento, la coppia, forse incuriosita, aveva incominciato a frequentarne il più basso!

Sicuramente si trattava di un falso scopo, per indurre chiunque a pensare che la si sarebbe potuta trovare in quel nido. Invece non era così, in quanto alternativamente si spostavano verso l’alto, in quello iniziale delle ara, per frequentare e scavare. Ai primi di maggio del 2013 la femmina, dal    nido basso , che frequentava con  assiduità, risultava assente nella voliera e  non vedendola più ho pensato che stesse deponendo, ma a tradirne la reale localizzazione, fu il maschio che sostava all’ingresso o nei pressi del nido alto.

Questo fece supporre che indubbiamente si sarebbero potute avere delle uova. Erano solo congetture, ma “buttammo aglio alle spalle” e sperammo. Alla fine il risultato c’è stato. Infatti era stato deposto il primo uovo!

Non importava se buono o meno, era lì il primo uovo, fatto eccezionale per una coppia di pappagalli  caratterialmente difficili! Basti pensare che le non numerose coppie presenti in Italia da decenni non hanno mai nidificato e che solo un allevatore danese e uno tedesco in Europa hanno fatto sì che la propria coppia riproducesse e portasse al compimento dei piccoli. Ho notizia di riproduzione nella Repubblica Ceca, ma non vi sono riscontri attendibili. Tutti gli altri non hanno mai ottenuto nulla.

Bene! La prima operazione fu di portare in incubatrice l’uovo e attendere, mentre la femmina deponeva. Dopo due giorni sottraemmo un secondo uovo da porre nell’incubatrice e così via sino al sesto. Fu sbalorditivo il fatto che fecondi ne sono risultati cinque e che solo uno era vuoto.

Certo non fu impresa facile sottrarre un uovo alla femmina, dato che essa, al minimo rumore sospetto, si precipitava al nido. Perciò bisognava attendere i momenti di pausa in cui si recava a mangiare. Fu estremamente stressante, ma il risultato impagabile!

Dopo che i cinque nuovi soggetti furono al sicuro decidemmo di lasciare tranquilla la femmina e far sì che iniziasse una seconda deposizione, nella quale essa stessa avrebbe dovuto provvedere alla cova!

La cova procedeva regolarmente, i battiti dei soggetti erano regolari e in diminuzione proprio perché si avvicinava la schiusa: eravamo ansiosi e contenti, e con noi anche tutti quegli amici allevatori che ci hanno seguito in questo calvario . . . e che credono nella bontà di un’informazione corretta che viene loro fornita.

Siamo ai primi del mese di giugno, in attesa delle schiuse, momento difficile per poter dire di avere piccoli in crescita . . .

Oggi, nella giornata del 19 giugno, direi storica per il mio amico “ciccio” Garani e per me, possiamo annunciare la nascita dei primi due piccoli di A. dufresniana: grande emozione! I pullus stanno bene e godono di eccellente salute e colorazione della pelle. Li monitoriamo continuamente, anche perché sono state usate due balie eccellenti: una amazzona aestiva di provata “rettitudine” e un Cakariki, certo un piccolo, ma solerte e attento pappagallo, che riesce – grandezza permettendo- a imbeccare qualsiasi giovane di amazzone, il resto tocca a noi farlo al momento giusto! Sono nate le seconde amazzoni dufresniana, e posso dire che è stato raggiunto un bel traguardo, anche perché possedere delle amazzoni nate in cattività, darà più facilità al mantenimento e alla riproduzione della specie.

Già oggi penso al futuro, ma è solo una visione positiva dopo tanti fallimenti. Tuttavia ho voluto scrivere e particolareggiare questo evento affinché ogni allevatore non si disperi per la mancata deposizione dei propri pappagalli: è solo una questione di tempo e di costanza, poi tutto viene ampiamente soddisfatto, allorquando ci si applica e si seguono consigli appropriati.

Vorrei citare a questo punto, due delle cinque regole di Farley Mowat:

Ascolta il tuo istinto e non seguire troppo il tuo ragionamento;

Sii un bravo animale e sarai un brav’uomo_

Forse queste massime mi hanno aiutato !

 

Testo e foto

Guglielmo Petrantoni

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Rupìcola peruviana: una eccellenza nel campo ornitologico, presente all’Oasi di S.Alessio

Rupìcola peruviana (Latham,1790)

Nome scientifico del latino classico rupes “rupe” e – cola ”colo”.

Essendo imparentato con i galli, gli si è attribuita il nome di galletto, per la maestosa cresta a forma di ventaglio ed anche perché il carattere è piuttosto bellicoso. Fa parte della famiglia Cotingidae , essi sono forniti di vistosi colori, penne fastose, sacchi golari dilatabili, e filamenti membranosi. Questi uccelli delle foreste, le cui dimensioni sono comprese tra quelle di un Regolo e quelle di una Cornacchia, che da un punto di vista biologico debbono essere avvicinati alle nostre Averle, offrono la più variopinta confusione tra tutte le  “famiglie dei Tiranni”

Inglese: Andrean  cock of the rock;

Spagnolo: Gallito de las Rocas peruano;

Italiano :Galletto di roccia delle ande;

Tedesco: Andelfelsenhah;

Dialetto locale: Gallo de la pegna andino o tunqui;(lingua quechua originale, di famiglie e tribù andine.)

Francese: Coq de roche peruvien.

Nonostante il loro Polifmorfismo, tutti i cotingidi sono caratterizzati da una struttura corporea poderosa e dal becco uncinato, i tarsi sono protetti solo da piccole piastre ad anello, e posteriormente sono coperti da piccolissimi scudetti separati tra loro; i muscoli sono robusti e sono caratterizzati da un accentuato dimorfismo sessuale. La famiglia è diffusa in America centrale ed in tutto il Sudamerica sino all’Argentina. I Cotingidi comprendono circa 30 generi con 95 specie.

Il genere Rupicola viene posto in una famiglia particolare, e comprende Uccelli dalla struttura massiccia, forniti di breve coda una larga pianta dei piedi, essi si distinguono in due specie, tra cui il Galletto di roccia peruviano(Rupicola peruviana,Latham,1790) lunghezza dei maschi 31 cm e le femmine 26 cm, il  Galletto di roccia comune(Rupicola rupicola,Linnaeus,1766) della Guyana è simile al precedente ma possiede un piumaggio più arancione , con mancanza di piume nere sulle ali ed un perfilo sottile  nero, lungo la corona del capo arancione del maschio.

Il Galletto di roccia peruviano,ha due morfologie distinte: Rupicola peruviana sanguinolentus,(Gould,1859) rosso sangue intenso il maschio e rosso carmine la femmina; e la Rupicola peruviana aequatorialis,(Taczanowski,1899) con maschio rosso –arancio e la femmina arancio-marrone scuro. Ed una terza la,Rupicola peruviana saturatus.(Cabanis & Heine , 1859)

Entrambi non si distinguono solo per lo splendore e la magnificenza del piumaggio e per le insolite appendici che gli danno un aspetto molto vistoso, ma  per la voce sonora, dotata di grande risonanza. Il piumaggio dei maschi è rosso arancio splendente; il capo è adorno di una corona di penne erettili che formano una sorta di elmo; il piumaggio del dorso è fessurato come presso gli Aironi. La maggior parte di essi vive tra le cime di alto e medio fusto, in territori  di montagna coperti da foreste vergini umide e ricche di acque(900-2100 slm), dal sud America settentrionale e nord-orientale, cioè  dalle sorgenti dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni.

Amano radunarsi in ottobre ,all’epoca degli amori ,sulle rocce che sporgono dalle masse d’ acqua spumeggianti per esibire la pomposità  della livrea nel corso di danze quanto mai bizzarre. Per questo i maschi non hanno alcun legame di coppia e sono ritenuti altamente poligami, e in queste aree le femmine che ne vengono attirate, si accoppiano verso la fine della giornata quando  il maschio prescelto con piccole beccate sul collo, e che a causa della stanchezza accumulata per le danze, è meno aggressivo. Terminato l’atto sessuale la femmina si allontana dall’arena ed il maschio riprende a danzare nella speranza di attirarne altra .Questi volteggiamenti amorosi sono altamente dispendiosi sotto il profilo energetico, forse per questo fattore si  darebbe una spiegazione del mancato contributo e partecipazione allo svezzamento della prole, che resta a carico esclusivo della femmina.(*)

Il nidi vengono allestiti nelle ingressi e anfratti di piccole caverne che si trovano su pareti rocciose della foresta umida e sono composti da fango riportato e saliva, in modo da risultare ben ancorati sul piano della roccia. La deposizione delle uova di color bruno, è numericamente di due e vengono incubate per circa 40 giorni, e per i successivi tre mesi per lo svezzamento della prole, che và da novembre a febbraio.

Sono frugivori e  cibano principalmente di bacche  e frutti, che trovano alla base delle piante e di qualche insetto,  o piccoli rettili. Mangiano i frutti con alto contenuto di proteine ,frutti delle Lauraceae, Annonacae e Rubiaceae. Si dedicano alla ricerca del cibo generalmente da soli, molto raramente in gruppi di due tre soggetti  massimo, tra le prime ore del mattino e poi nel secondo pomeriggio.

In cattività sono tenute con buoni risultati e col temo ed in ambiente controllato possono riprodursi. E’ certo che in Perù, dove è ritenuto Uccello Nazionale, talvolta viene tenuto come uccello da compagnia, se preso da giovane.

Oggi lo si può ammirare in una voliera ambientata con piante , muschi, licheni piante tipiche della foresta umida andina, comprensiva di  ruscello, perchè possa immergersi e bagnarsi e se del caso iniziare, su una piccola roccia affiorante, la tanto decantata danza d’amore. Non ultimo sono state creati degli anfratti ad hoc per la eventuale preparazione del nido ,insomma del  tutto simile all’ areale andino, senza che la coppia venga disturbata, in quanto la postazione in ombra consente di non essere visti dall’uccello, per un affetto dato dal vetro riflettente e non da una comune rete.

L’oasi di S.Alessio offre ai visitatori  la possibilità di uno “scatto”in sicurezza, dove possiamo dire di averlo effettuato . . .in un nostro viaggio in Perù !

(*)Un celebre esploratore   Sir R.Hermann Schomburgk(1804-1865), console britannico in Siam, studioso di botanica ,topografo e ideatore della “linea Schomburgk”  tra Venezuela e Guiana,  così descrive le caratteristiche esibizioni, in una particolare ed acuta osservazione delle danze:

“Un intera compagnia di questi deliziosi uccelli eseguì per un ora la sua danza proprio sulla superfice piatta e liscia di un poderoso macigno. Sui cespugli vicini era appollaiata una ventina di spettatori ammirati, maschi e femmine, mentre la superfice levigata del masso era percorsa in ogni direzione da uno dei maschi che compiva i gesti più straordinari: Dapprima allargò un po’ le ali, ruotò il capo in tutte le direzioni, raspò con le remiganti la dura pietra, si alzò con saltelli più o meno veloci sempre dallo stesso punto; poi fece la ruota con la coda, e poi a passi civettuoli camminò di nuovo in un atteggiamento solenne sulla pedana: quando ormai pareva stanco emise un suono diverso dalla sua solita voce, e volò sul ramo più vicino cedendo il posto a un altro maschio. Dopo qualche tempo anche questo secondo esemplare esaurì il suo repertorio, e finì di mettere in evidenza tutta la sua avvenenza, cedette il ruolo di attore a un terzo maschio”

 

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L’ara a fronte rossa (Ara rubrogenys)

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Un pappagallo che nella lista di quelle ara in pericolo o in via di estinzione, è inserito al terzo posto dopo l’ara glauca (Anodorhynchus glaucus) e l’ara di Spix (Cyanopsitta spixii): si tratta dell’Ara rubrogenys.Il nome scientifico deriva dal latino ruber : rosso e genys : guancia. Fu descritta e battezzata da Lafresnaye nel 1847 (*); anche Forsaw nel 1973 ne delineò sinteticamente i tratti. Solo negli anni settanta il dr. Romero Rolando, (1974, Avicultural Magazine, 80:131) chimico boliviano riciclatosi esportatore, produsse le prime informazioni sulla specie, cui non si diede molto seguito e le scarne notizie iniziarono a completarsi solo nel 1981, ad opera dello statunitense Derk V.Lanning, che fornì dati sulla biologia e osservazioni  che hanno permesso di circoscriverne l’areale.Viene chiamata in italiano Ara di Lafresnaye o dalla fronte rossa; in boliviano Paraba dorada, Loro burro; in dialetto quechua Opaloro, Qaqualoro; in tedesco Rotohara; in inglese Redcheeked Macaw, Red-fronted Macaw;  in francese Ara di Lafresnaye.

Presenta colorazione generale verde oliva, fronte e parte anteriore del vertice, regioni auricolari, basse tibie e ciuffetto cloacale rossi. Piccole copritrici, margine dell’ala e sotto ala arancio-rosso. Remiganti inferiori giallo chiaro con apice delle primarie nerastro. Timoniere oliva, becco nero, zampe grigie con unghie nere, iride giallo-bruno chiaro, con un margine interno grigio-verde o giallo chiaro. Zona facciale con una ristretta zona nuda, solcata da lineette di piume nere. Lunghezza 60 cm., peso da un minimo di 450 a un massimo di 600 g.. I giovani all’uscita dal nido mostrano una sottile banda frontale nero-bruna. Il rosso è presente nelle regioni auricolari, mentre una forte soffusione arancione compare su addome e basse tibie. La zona nuda facciale è grigio-chiaro. L’iride bruno scuro. La livrea definitiva, a cominciare dal rosso in fronte, è acquisita per gradi a partire dal primo anno e si completa al secondo. Becco e zampe come gli adulti.

 

 

Il verde, il rosso e il giallo sono presenti nella bandiera nazionale boliviana, motivo per il quale essa è ritenuta una specie simbolo del paese, tanto che il Governo ha emesso un francobollo di 9 dollari B, nei colori tipici.

(*) Noel Frederic.A.Andrè de Lafresnaye, ( 1783-1861) nobile aristocratico, ornitologo francese che descrisse numerosi uccelli di cui  accumulò oltre 8000 esemplari nella  collezione privata.  Autore di molti trattati sugli uccelli.

Emette breve suoni striduli, simili a quelli dell’Ara  severa, in volo o allorquando si posa per mangiare o per andare a dormire. Un singolo suono  rauco, che è raaah, indica pericolo, mentre più chiamate melodiche vengono fatte in duetto. Gli strilli  aumentano e si ripetono tanto da provocare reciproca eccitazione.

Frequenta un habitat arido e montagnoso, tra i 1900 e 2500 m. s.l.m, costituito da rade formazioni cespugliose, cactacee, foreste a galleria nei fondo valle a vegetazione decidua medio-bassa, in particolare nella valle dell’alto Rio Grande e del Rio Mazque, zone temperate a cactus.

Fanno sovente incursioni sui campi di mais e di arachidi, coltivati  ad est dai Cambas e a ovest  dalle comunità Quechua (popolazioni andine che parlano ancora il vecchio dialetto Inca).

Si muovono a gruppi di poche entità sino a formazioni cospicue, specialmente al termine della stagione riproduttiva.

Si cibano di semi, erbe, gemme, bacche e frutti, sia coltivati che selvatici. Non mancano arachidi (Arachis hypogea), mais, fave e fagioli. Nel periodo riproduttivo utilizzano esclusivamente parti vegetali tenere, leguminose, mimosacee, ulmacee, bignoniacee, euforbiacee o cactacee. In tale periodi accettano proteine sotto forma di larve di insetti e di altri piccoli invertebrati.

È una specie fortemente sociale, nidifica e depone in colonia nelle cavità delle pareti di arenaria conglomerate o calcaree, profonde sino a tre metri. La deposizione avviene in coincidenza con la stagione delle piogge, pertanto varia da regione a regione.

La ridottissima disponibilità di nidacei o adulti ha fortunatamente limitato l’assorbimento del mercato statunitense interessato a soggetti domestici e a coppie adulte. Il blocco delle esportazioni avvenne nel 1984, quando le autorità boliviane si resero conto che venivano esportate illegalmente verso l’Europa e l’Oriente. La crescente concorrenza esercitata da allevatori in cattività ha gradualmente ridotto i prelievi illegali, tanto che oggi si può affermare siano decisamente cessati.

L’ara fronte rossa, seppure protetta dalle leggi boliviane, è minacciata, oltre che dal contrabbando superstite (via Perù) e dalle uccisioni dirette, anche dal degrado ambientale causato dal bestiame domestico, dall’aperture di nuova strade e dalla costruzione della linea ferroviaria Santa Cruz-Cochabamba, che rendono economicamente vantaggioso il taglio e il trasporto del legname per uso industriale.

Anche in considerazione dell’areale relativamente ridotto, sino al  luglio del 1983 l’Ara rubrogenys era inserita nell’Appendice II/B della CITES, poi fu spostata in una lista a rischio. Bisogna inoltre considerare che, nonostante ciò, localmente è considerata dannosa per le regolari visite ai modesti appezzamenti a mais e arachidi.

Pur avendo buone capacità di adattamento, è stato notato che una grande percentuale che aveva raggiunto l’Europa giungeva fortemente deplumata. All’inizio si pensò a una autodeplumazione per il cambio di dieta, ma poi la causa fu attribuita a parassiti cutanei che colpivano i soggetti durante la stabulazione in capanne dove l’igiene era fortemente compromessa, in attesa del trasferimento, in compagnia di capre.

Le prime nascite in ambiente controllato sono avvenute in Germania allo zoo di Wuppertal, ove tre piccoli, in una voliera di 4 m. x 2m x 2m furono tolti dal nidi per essere poi allevati a mano. In tutti gli anni successivi la coppia ha avuto piccoli, in un nido orizzontale di 80 cm. di lunghezza , x 40cm x 40cm. Nella medesima voliera furono ospitati due soggetti di sesso non definito, che non hanno mai interferito con la coppia. Una coppia importata nel 1974 allo zoo di Berlino depose tre uova sul pavimento e da uno solo non nacque un pulcino; negli anni successivi depose nel nido e tutti i piccoli furono portati a buon fine. Molti altri casi si sono avuti al Vogelpark di Walsrode nel 1987, in Gran Bretagna negli anni 1982,1983,1985 al Birdland (Burton-on-the-water)

In Italia la prima nascita ha avuto luogo nel 1994, presso il Centro per lo Studio e la Conservazione degli Psittacidi, da soggetti in affidamento dalla CITES , dallo Zoorama del dr.Guerra nel 1977 e dalla New York Zoological Society.

I soggetti furono alloggiati in grandi voliere lunghe 6 m. x 8 e alte altrettanto, ma con un fondo naturale che per la specie in argomento, è una sorta di “pascolo”, così come avviene in natura nella maggior parte della giornata . Gradiscono molto un nido posto in fustini in posizione verticale, con diametro 30-35 cm. e 60 di profondità e con un normale foro di entrata da 13 cm. Sul fondo si versano circa 10 cm. di trucioli ben pressati e si pone una scaletta interna per uscire comodamente. Ad ogni covata è necessario sostituire il fondo e, ove possibile, aggiungere materiale durante l’allevamento.

Ho avuto anche coppie che hanno gradito un nido posto in orizzontale nella misura di un metro e venti cm, con dimensioni di 40cmx 30cm, tale situazione riproduce la conformazione dei nidi naturale nell’arenaria, ove gli stessi conducono la vita della riproduzione a strapiombo delle pareti stesse.

Durante questo periodo è utile fornire al mattino una nocciola di carne trita con un po’ di biscotti e due ore più tardi frutta di stagione, ortaggi o erbe selvatiche (tarassaco e simili); al pomeriggio un po’ di miscela costituita per il 50% da semi di girasole e per il restante 50% di miglio, scagliola, granoturco, orzo, piselli, cereali in fiocchi e qualche arachide.

La femmina depone, a distanza di 48 ore, generalmente 3-4 uova, che vengono covate per 25-27 giorni; il nido dovrebbe essere messo a disposizione verso la metà di aprile in funzione dell’andamento stagionale.

I piccoli lasciano il nido dopo 12 settimane. I soggetti allevati a mano diventano assai domestici e già a pochi mesi iniziano a ripetere parole e brevi frasi, anche se con voce piuttosto stridente. Le inferiori capacità imitative del nostro pappagallo rispetto alla più popolare Amazzone fronte blu, gli sono valse in Bolivia l’appellativo di LORO BURRO,”pappagallo somaro”, ma dal punto di vista affettivo è eccellente!

Personalmente ne ho allevato uno prelevato dal nido nel mese di agosto, a un’età di un mese circa, e dopo quattro mesi ha iniziato a mangiare qualcosa autonomamente. Solo ai primi di gennaio si è reso totalmente indipendente senza più richiedere cibo.

Mi auguro infine, che queste notizie possano spingere altri allevatori alla acquisizione e conservazione della specie, che seppure di allegato A, contribuiscano l’allevamento per aumentare la presenza di soggetti negli aviari, nella considerazione che questa sia l’unica strada da percorrere  per ottenere il maggior numero di piccoli in breve tempo, indipendentemente dalla stagione, dalla maturità riproduttiva.

E  per non far sì che –come per l’ara di Spix- verosimilmente estinta in natura, ma presente con oltre cento individui in cattività, ma legate ad un programma di riproduzione, reso possibile da” Zoo privati”, che attraverso acquisizioni quantomeno discutibili, ne potrebbero aver  favorito il declino !

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