L’antica affascinante arte della falconeria

Falconeria

“Niente è più difficile di quest’arte, ma niente di questo suo sapere è più bello”. Federico II di Svevia

I rapaci diurni (Falconidi) e crepuscolari  (Strigidae) sono uccelli di mole assai variabile e sono muniti di un becco ricurvo all’apice, hanno gli occhi posti lateralmente sul capo, sono ottimi volatori, provvisti di  grandi muscoli pettorali e di ali voluminose, che conferiscono loro un tipico aspetto di “spalle larghe”, offrono uno sguardo severo determinato dalle arcate sopraccigliari sporgenti al di sopra degli occhi. Le femmine sono più grandi dei maschi.

Chi non avesse mai avuto un incontro ravvicinato con i falchi e i gufi, sappia che all’interno dell’area protetta dell’Oasi di Sant’Alessio può provare questa emozione e sperimentare una simulazione di caccia con un logoro appeso a un modellino di aereo telecomandato,logoro  che  a comando viene lasciato cadere da  una altezza di circa 50 m. e poi inseguito dal rapace, sino alla cattura in volo.  Ciò permette di ricostruire lo scenario di battute di caccia d’altri tempi e di seguire tutte le evoluzioni per la salita in quota del logoro e del suo cacciatore. Commenta abilmente ogni fase, con dovizia di particolari, il signor Harry Salomon, proprietario e animatore del prestigioso comprensorio faunistico, che aggiunge note di carattere informativo-storico, nonché di allevamento e avvio alla corretta tenuta dei rapaci.

Al riparo della recinzione e all’ombra della folta vegetazione ci si può lasciare emozionare dal regno dei rapaci che volano in assoluta libertà, in un ambiente rispettoso dei protagonisti, cioè gli animali stessi. E’ un’ occasione unica per conoscere questo affascinante mondo, legato spesso anche a un immaginario della tradizione mitologica, con simboli connessi a potere e magia, che può attrarre famiglie  e scuole, fotografi professionisti e non, grandi e piccoli. La dimostrazione del volo di falconi, gufi e altri rapaci è supportata dalla collaborazione di un team femminile e da Giulio Salomon, animatore del gruppo volo. L’emozione, nei circa 40 minuti di evoluzioni, sicuramente non mancherà. Lo scenario è anche vivacizzato da una finta lepre in fuga su un percorso stabilito. A un comando viene lasciato libero un gufo che con precisione si fionda sopra la lepre per farne preda e poi, con le sue possenti ali, la copre per consumare l’ambito pasto indisturbato.

Tale addestramento è frutto di un costante e continuo lavoro di pazienza che si protrae per mesi, al fine di ottenere la fiducia dell’animale, che dopo un anno dovrà incontrare il pubblico.

La falconeria è un’antica arte della caccia nata sugli altipiani delle steppe asiatiche circa 4000 anni fa. Gli uomini falconieri andavano a cavallo con le loro aquile appoggiate al polso, a pugno chiuso, e cacciavano volpi, conigli e persino lupi. In Arabia venne poi perfezionata la tecnica della caccia con il falcone. Fu l’imperatore di Germania Federico II di Hohenstaufen, autore tra l’altro di un testo (De arte venandi cum avibus*, il primo trattato di ornitologia scritto nel 1071 e ancora attuale), a portare questa pratica in Europa e, con la sua opera, a colmare una lacuna che esisteva nella letteratura. La falconeria, attuata correttamente e in modo professionale, offre l’opportunità di osservare il mondo dei rapaci da vicino, nel completo rispetto del loro naturale comportamento di volo, senza sottoporre l’animale ad artificiosi addestramenti. L’allevamento e la riproduzione di uccelli rapaci sono una conoscenza che non si improvvisa, ma si costruisce con anni di duro e paziente lavoro, così da mettere il risultato a disposizione di tutta la comunità!

Grazie all’occhio, alla passione e agli scatti di Corrado Corradini (**), e come Lui stesso ama definirsi ”non sono un naturalista, ma considero un reportage le mie foto”, ho potuto dare risalto a questo articolo, in cui il fotografo naturalista ha avvicinato un mondo animale con grande rispetto, per farci scoprire la falconeria con entusiasmo fotografico e nel contempo trasmetterci l’amore per questi uccelli e questa arte!

Buona visione!

Testo di Guglielmo Petrantoni, foto di Corrado Corradini

 

(*) L’opera si compone di sei libri: Trattato generale sulle abitudini e strutture; Uccelli da presa; Generi di trappole ed usi; Caccia alla gru con Girifalcho (Falco rusticolus; Caccia agli Aironi con il Falco Sacro (Falco cherrug); Caccia agli acquatici con falchi minori;

(**) Corrado Corradini, 63 anni, già fotografo professionista. Dopo una  lunga pausa dal lavoro, quasi per gioco rientra nel mondo “ delle immagini”, con una piccola digitale, tanto da far riaffiorare e ritrovare una voglia di  . . .fermare immagini, ma questa volta solo per divertimento!




 Il CAPOVACCAIO (Neophorn percnopterus), un avvoltoio quasi dimenticato

Neophorn percnopterus, Savigny, (Linnaeus,1758).

Inglese: Egyptin Vulture

Tedesco: Schmutzgeier

Frances: Pércoptère d’Egypte

Spagnolo: Alimoche comùn

Nella mitologia greca, Neophron un imbroglione che viene trasformato in un avvoltoio; percnocterus da perknos oscuro e –peteros – ali, quindi dalle ali scure.

Per l’ornitologo Aldrovandi nel 1599 era chiamato “Gipeto”, mentre Ray lo classificò“ Falco montano egiziano” e Hasselqvist lo definì avvoltoio “vultur”. Infine per Linnaeus, il nome specifico di Egyptian Volture era scritto perenopterus e non percnoterus, per cui Perenopterus vultur. Ciò è evidentemente era un errore di battitura, come cita l’Aldrovandi, il quale lo scrisse in entrambi i modi.

Lunghezza  massima totale metri 0,700; ala 0,500; coda 0,230; becco 0,070; tarso 0,080; dito medio 0,090; peso circa 2 Kg. Il capo è nudo solo nella sua parte anteriore fino al di là dell’orecchio dove cominciano le piume lanceolate che coprono il collo; Becco lungo ed esile, a margini appena sinuosi questo, è meno incurvato che nei veri avvoltoi; narici orizzontali, ristrette, allungate; occhi non infossati e vista molto acuta che gli consente di scoprire anche di piccole dimensioni a grandi distanze. Piedi simili a quelli degli avvoltoi, ma più sottili, con unghie ottuse. Ali grandi e lunghe, coda cuneata  formata da 14 penne, colorito uniforme.

I giovani nel primo abito sono bruno – cinerei uniformi, tranne le grandi penne che sono oscure. Le copritrici hanno margini fulvi e ocra che tendono a scomparire nell’abito successivo in cui il colore bruno è meno intenso è può diventare colore terra chiara. Nel 2° abito è di colore bianco uniforme, ma mai totalmente puro, per lo più sfumato di  giallo o adirittura isabella. Le remiganti secondarie portano la base scura cinerea e le primarie sono nere.

Becco bianco – giallastro, la cera e tutta la parte nuda del capo di colore giallo uovo, i piedi variano tra il color carneo e il giallo –chiaro;l’iride è bruno rossiccia, che con l’andare degli anni porta al rosso.

Madre e figlio all’arrivo in terra d’Afica, dopo la migrazione.

E’ distribuito su una vasta area che si estende dalla Penisola Iberica e dall’Africa Occidentale sino al sub continente indiano.

Le popolazioni che nidificano attorno al bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente e nell’Asia centrale sono migratrici e svernano in Africa nella fascia sub-sahariana e nella regione etiopica, nella parte meridionale della Penisola Arabica ed in India.

Vengono riconosciute due distinte sottospecie:

  1. N. p. ginginianus, di minori dimensioni e con la punta del becco chiara, diffusa in Nepal e in India;
  2. N. p. percnocterus, distribuita nella restante parte dell’areale della specie.

Recentemente è stata descritta una terza sottospecie endemica delle Isole Canarie, caratterizzata dalle maggiori dimensioni e confinata alle isole di Fuerteventura e Lanzarote, che  presentano un elevato rado di differenzazione genetica: N. p. majorensis

Nel Paleartico occidentale il Capovaccaio nidifica nella Penisola Iberica, nella Francia meridionale, e nel sud Italia, Puglia e Sicilia.

Sin dall’inizio secolo XX il Capovaccaio era ampiamente diffuso in Italia come migratore regolare e nidificante. Sempre avvistato in Puglia sul Gargano, nelle Murgie, lungo la costa Ionica della Calabria e in gran parte della Sicilia.

Progressivamente nel tempo l’areale tirrenico si è andato frammentando e ritirando verso sud, contrazione che ha creato un drammatico calo dei contingenti nidificanti, declino che ha portato ad una riduzione di coppie riproduttive non oltre la decina. I siti riproduttivi sono oggi localizzati nella zona delle gravine appulo – lucane, nella Valle dell’Agri, sul massiccio del Pollino e nella Sicilia centro – occidentale.

Da tener presente che vi sono avvistamenti di soggetti singoli, che non si riproducono e probabilmente soggetti sub adulti, che compiono erratismi o che sono legati ad un determinato territorio senza costruire nido, questi soggetti sono chiamati estivanti.

In Sicilia quasi mai vengono segnalati soggetti giovani o immaturi, questo perché gli immaturi restano in Africa e solo dopo tre anni intraprendono il viaggio verso i siti di nidificazione europei.

I Capovaccai che ha nidificato nel Paleartico occidentale, abbandona il territorio per recarsi in Africa, solo tra metà agosto e metà settembre,  e solo qualcuno si intrattiene sino ad ottobre. Pur non di meno gli adulti , o meglio le coppie formate e  riproduttrici migrano indipendentemente dai figli.

Il volo verso L’Africa avviene seguendo rotte ben precise che evitano le lunghe traversate del mare, e pertanto convergono verso lo stretto di Gilbilterra, sul Bosforo ed in misura minore verso il canale di Sicilia. Certo la maggior concentrazione si ha nel corridoio che passa per la Turchia meridionale, Israele e Suez,ave è minore il tratto di mare.

Terminata la migrazione, sostano in estesi areali sino alla successiva stagione.

I quartieri riproduttivi vengono poi raggiunti tra l’inizio di febbraio e magio con picco di arrivi a marzo. Non è raro comunque che una frazione della popolazione paleartica resti a svernare in Italia.

La riproduzione presenta nel Capovaccaio un basso tasso di natalità e un elevato tasso di sopravivenza di giovani e adulti. I nuovi nati entrano in riproduzione al compimento del 5° anno e mediamente le coppie riescono a fare involare un piccolo all’anno, ma di contro l’aspettativa di vita è alta, in cattività sono noti  casi di soggetti in grado di riprodursi anche con 35 e passa anni di età.

La dimostrazione ci è data dalla coppa di Capovaccai presenti da decenni al Parco Villa d’Orleans di Palermo, che già dal decorso anno ha dato alla luce un piccolo, poi non portato al volo e deceduto, mentre nell’anno in corso la stessa coppia ha deposto per il secondo anno consecutivo, ed ancora oggi si riproduce regolarmente e positivamente, grazie anche alla attenta e oculata gestione del Direttore Nicola Lauricella.

Gli stessi sono monitorati costantemente da una telecamera , che segue l’iter riproduttivo e fornisce la possibilità al pubblico di osservarne le varie fasi di sviluppo.

Uno dei pochi casi dove la conservazione della specie è curata al fine di porre al volo un giovane che potrebbe essere rilasciato per svernare in Africa e rientrare successivamente in territorio Italiano e dare continuità alla specie, così come è avvenuto a cura del CERM  in Puglia  nel 2007,con il rilascio di un giovane munito di radio collare satellitare.

Il nido è formato da un ammasso di rami di varie grandezza, guarnito internamente con lana di pecore ed altro materiale morbido,la cui collocazione è posta sui dirupi e pareti rocciose delle montagne inaccessibili.

Generalmente depongono due uova,bianco sporco e con poche macchie rossastre, o maculate d rosso bruno, alla fine di marzo,o all’inizio di aprile ad intervalli di 2 – 4 giorni. La coppia si alterna alla cova per 42 giorni, anche se il maggior impegno è profuso dalla femmina che cova per il 70% del tempo.

I giovani si involano dopo 80 giorni circa e vengono seguiti dai genitori ancora per qualche settimana, i quali provvedono ad alimentarli portando del cibo o nel nido o nelle immediate vicinanze. La specie riesce a produrre covate di rimpiazzo, qualora la prima covata risultasse improduttiva.

La dieta di questi avvoltoi è di tipo “opportunistico”, si nutre di piccoli animali morti, carcasse di ungulati, resti di macellazione,rifiuti, e talvolta di insetti o invertebrati.

La popolazione nidificante in Italia è ormai ridota al lumicino, tanto che a livelli numerici sì esigui, la specie può definirsi a forte rischio di estinzione. Basti considerare, che per alcuni anni si sono avute nascite con un rapporto squilibrato tra sesso maschile e femminile, talché non è possibile costituire coppie sufficienti, tali da garantire un rimpiazzo nel tempo di soggetti che sono morti, e ciò determina di conseguenza un rilevante calo demografico. La ridotta variabilità genetica che inevitabilmente contraddistingue le popolazione rarefatte, fa sì che le stesse mostrino scarsa plasticità a reagire ai mutamenti ambientali, e la ripresa spontanea della popolazione è molto bassa. Si conta esclusivamente sulla riproduzione in cattività con la conseguente reintroduzione in natura,  di quei sparuti soggetti che pochissimi allevatori od organizzazioni Governative, riescono a fare con non pochi sforzi.

A questo si aggiunga le azioni già intraprese dal Governo con l’emanazioni di leggi e decreti ad  hoc, ma sopratutto la tutela per gli habitat e degli ambienti steppici in Italia, considerati di prioritario interesse conservazioni stico come il Parco Nazionele del Pollino, i Parchi Regionali delle Madonie e di alcune Riserve Naturali della Sicilia centro- occidentale (Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere,Monti di Palazzo Adriano, Pizzo Cane, Pizzo Trigna, Monte san Calogero), dove vivono cinque delle sette coppie censite in Italia. Ci si augura che come il CERM ed il Dipartimento di Produzione Animale dell’Università di Bari, abbia raggiunto un rapporto di collaborazione per la riproduzione assistita, allo stesso modo avvenga per la Regione Sicilia.

Al di fuori di predazione di testuggini, o predazioni di piccoli di altri animali  che è solo correlata all’abitudine di frequentare nidi di altre specie alla ricerca di resti alimentari, non risulta abbia particolari altre abitudini di predazioni. Si accontenta di degli scarti lasciati da altri avvoltoi, anche perché il suo debole becco gli permette di estrarre solo piccole parti delle carcasse. Molto legato alla pastorizia e al pascolo brado perché si nutre di placenta e feti abortiti. Si ciba di escrementi di erbivori per assumere carotenoidi al fine di accentuare la colorazione gialla della pelle della faccia e rosa delle zampe, utili fattori per aumentare il gradimento tra i  partner della coppia.

Nella mitologia, l’avvoltoio degli Egizi, era così chiamato poiché con l’abitudine di nutrirsi di tutto ciò che era rifiuto animale e di cui amava cibarsi, contribuiva a mantenere sano l’ambiente, tenendo lontano l’uomo da malattie causate dalla putrefazione animale.

Venerato e graficamente rappresentato negli ideogrammi dell’alfabeto egizio, tanto che ne era spesso affrescata l’immagine sulle tombe dei Faraoni, dove il logo era così costituito: lettere “a”, immagine del “capo vaccaio” un puntino ”.” Ed una “freccia” in senso indirizzato verso l’uccello. La traduzione:  Il Faraone potrà ascendere al cielo assumendo le sembianze di un avvoltoio capo vaccaio.

Articolo Guglielmo Petrantoni, Fotografia Colombo G. ed autore.

 Impaginazione grafica by GRAFOS SERVIZI GRAFICI – SAN COLOMBANO AL LAMBRO