Diario di viaggio di un ornitologo nelle isole Grenadine (prima parte)

image_pdfimage_print

Rientrato nel febbraio 2018 da un viaggio nei Paesi Bassi, nell’aprile dello stesso anno incominciai a prepararmi per un successivo affascinante viaggio in quelle isole Caraibiche denominate Grenadine, in Centro America, in particolare Martinica, Santa Lucia e St Vincent, non certo da turista ma da ornitologo. Fatti gli ultimi preparativi mi sono armato di macchina fotografica e obiettivi e il 23 aprile mi sono imbarcato su un volo Air France alla volta della Martinica, solo otto ore di volo.

Giunto all’aeroporto di Fort de France, con un taxi –non essendoci aliscafi perchè in sciopero - ho optato per un trasferimento verso S.Lucia con un traghetto privato (Capo Rosso) che salpava da un porticciolo a sud-est della capitale, Riviere Pilote Le Marin, appena tre ore di navigazione. Per quanto poche fossero le ore, appena uscito dal golfo e superato il promontorio Terra del Diavolo, il mare ha subito una trasformazione ! onde lunghe e alte due metri. . .

Appena in vista della piccola isola di Santa Lucia ,ho visto una gran quantità di fregate superbe (Fregata magnificens), imponenti uccelli frequentatori e veleggiatori dei mari equatoriali e facilmente distinguibili per la grande apertura alare e dalla caratteristica colorazione rosso fuoco nel sotto gola. All’imboccatura del golfo di Santa Lucia, era ormai pomeriggio avanzato. Dinnanzi la piccola isola ho notato una quantità di Sule, uccelli eminentemente pescatori e tuffatori, mi sembrano tutte della specie Sula dactylatra.

Il vento non era impetuoso ma costante e la temperatura gradevole intorno ai 28°; sbarcato nel piccolo porto di Rodney Bay, ho fatto dogana in quanto trattasi di altro stato. Giusto il tempo di prendere una macchina a noleggio per il trasferimento verso l’aeroporto per prendere il piccolo ATR bimotore e portarmi nella selvaggia e stupenda isola di St.Vincent. Trenta minuti di volo ed eccoci al nuovo aeroporto internazionale di Argyle, aperto nel febbraio del 2017 e distante solo 13 Km dalla capitale Kingstown sulla costa est.

Aveva terminato di piovere da poco ed era già il tramonto; indescrivibile la gioia e l’emozione che mi invadono alla vista di questo estremo lembo di continente equatoriale caraibico, forse il più beneficiato dalla natura lussureggiante, e non minore la sorpresa nel constatare che, quasi ad un tratto e senza passaggi graduali, ci si trova trapiantati dall’Europa a un paese tropicale. La memoria delle nostra spiagge del Mediterraneo accresce l’ammirazione ed il fascino per l’isola verdeggiante che emana odori diversi.

Con il fuoristrada a noleggio mi dirigo verso l’albergo, già prenotato sulle colline del capoluogo, il Grenadine House. Nell’accedere a quest’albergo lo stupore mi pervase in tutto il corpo. Il vecchio stile coloniale inglese, rimasto inalterato nel tempo dalla hall alle camere, dal bar al ristorante, mi dava la sensazione di essere ritornato ad un'altra epoca.

Gli inglesi, che qui si stabilirono verso il secolo decimosesto, ancora oggi hanno lasciato delle tracce indelebili della loro presenza, sia nei costumi sia nel linguaggio. Gli isolani, uomini e donne dalla pelle scura, si potrebbero scambiare per africani se i tratti regolarissimi non rivelassero in loro una chiara dominazione europea. Stanco ma con la voglia sfrenata di immergermi nella natura, dopo aver cenato, raggiungo la camera per riposare.

Il mattino seguente, alla buon ora e dopo una corposa colazione che non dimenticherò facilmente non tanto per la novità della cucina – mezza europea e mezza inglese ed il diversivo al detestabile “salt beef” dell’albergo, quanto per l’effetto esotico della lunga tavola apparecchiata nella veranda aperta sopra un ampio giardino che domina il golfo, dove , fra i frutti dei tropici, i fiori dall’intensa e varia colorazione, le palme di vario genere, i piccoli uccelli del sole (Orthorhyncus cristatus) svolazzano di pianta in pianta, in cerca di liquore zuccherino nascosto in fulgide corolle.

Con il fuoristrada, con guida a sinistra, intraprendo l’unica via percorribile verso Richmond Peak, nel centro nord dell’isola. Guido per sessanta km in un sali scendi tra promontori e golfi mozzafiato, non discostandomi mai più di trecento metri dal mare, di cui quasi sempre si scorge la linea azzurra framezzo le piante. Si passa di villaggio in villaggio per ogni rientranza o golfo senza che mai vi sia una pietra miliare ad indicare il kilometraggio; soltanto con molta attenzione si scorgono a bordo strada dei cartelli a fondo verde e scritta bianca che segnalano l’inizio dell’abitato. Le case sono perlopiù a un piano e raramente si possono intravedere villette isolate a due piani. Spesso lungo la strada che precede un agglomerato si notano dei prati in forte declivio al lato strada, ben curati ma nel mezzo della foresta e con pietre verticali di pochi centimetri, che ho poi scoperto essere il luogo di riposo degli uomini a fine esistenza!
Arrivo a destinazione e mi inoltro nella foresta su strada bianca dove con un po’ di fortuna avrei potuto cliccare il rarissimo St.Vincent parrot (Amazona guildingii). Data la colorazione dell’uccello di certo nella foresta non sarebbe stato di facile individuazione, ma l’opportunità si è casualmente verificata mentre era in volo ,un solo esemplare ed a distanza! In questo periodo questi pappagalli sono in riproduzione e sarebbe stato impossibile avvistarli se non che negli spostamenti dai siti di nidificazione.

Ho passato diverse giornate su quelle pendici, ho udito i suoi richiami ma per quanto appostato e con un eccellente obiettivo mi è stato alquanto vano cogliere il psittacide.

In compenso ho potuto fermare sul mio obiettivo un’infinità di fiori e piante e non ultimo la tipica lucertola autoctona, lunga circa venti centimetri e di colore verde cangiante fra la malachite e lo smeraldo intenso il maschio, un pò più sbiadita la femmina.

Farfalle d’impareggiabile bellezza si schiudevano dalle loro crisalidi e volavano dalle nozze alla morte, ingemmate e splendenti di tinte, godendo dell’aria balsamica e sotto i raggi abbaglianti del sole di una vita breve, destinata solo alla gioia, all’amore, quasi compenso dei lunghi mesi di esistenza modesta, umile e piena di pericoli, trascorsi allo stato di bruco.

Da qualunque parte mi volgessi compariva un fiore, un oggetto nuovo. Ora un coleottero metallico, ora un fiore, ora una chiocciola. Uccelli di varie specie si sentivano stormire tra le fronde, mentre alcuni agui svelavano il loro nascondiglio con il fruscio fra i rami degli alberi.

Giornate per lo più trascorse in contemplazione . . .

Erano già diverse ore che camminavo e gocciolante di sudore e trafelato pensai che era tempo di tornare all’albergo dove un bagno mi ristabilì completamente le forze, pronto per la cena.

Partendo dall’Italia avevo ricevuto l’incarico di ottenere una piccola quantità di piante vive e semi per il giardino botanico di Sant’Alessio, in un’ attività di scambio con il Botanic Garden di Kingstown, al fine di tentarne l’acclimatazione in serra.

Nei giorni successivi ho percorso questa strada varie volte, tanto da fare delle deviazioni verso l’interno per raggiungere siti di frequentazione dell’Amazona autoctona o comunque per osservare animali o uccelli in natura e tutto ciò che forma masse di vegetazione variate ed armoniche nel tempo stesso; devo dire che ho sempre trovato soddisfazione.

Spesso rientrando all’imbrunire, in ogni dove, anche nei dintorni dell’albergo, si udiva un suono costante e intenso, simile a quello prodotto dalla pallina che rimbalza sullo schermo in un gioco al computer.

... fine prima parte ...

Nessun commento ancora

Lascia un commento

TOP